Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 19 Mercoledì calendario

Banche, persi finora 26 mila posti di lavoro

Se dovessimo fare un’analisi predittiva su banche e bancari, finalizzata all’individuazione di strumenti per garantire la sostenibilità del settore, sulla base dei dati che abbiamo a disposizione, sicuramente dovremmo parlare di un mondo che si muove sempre meno in una dimensione fisica – quella degli sportelli, per intenderci – e sempre più in una digitale. In questa dimensione, dove la persona sembra prendere il posto dello sportello fisico, i bancari, però, sono molti di meno: prendendo il rapporto Abi sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria del 2013, si legge che erano 323.400, prendendo quello del 2018, presentato ieri a Milano, si legge che al 31 dicembre del 2017 erano 297.700: in 5 anni sono stati persi quasi 26mila posti di lavoro (25.700).
Il vicedirettore generale dell’Abi, Gianfranco Torriero, intervenuto alla presentazione del Rapporto Abi 2018, nel ricostruire il contesto, dice che «nonostante i progressi fin qui compiuti si rendono necessarie ulteriori azioni incisive volte a recuperare margini di efficienza a sostegno della redditività». Anche per recuperare il gap con l’Europa. Come si risolve però la questione? «È un percorso che inevitabilmente dovrà passare per il contenimento delle spese di amministrazione e dei costi del lavoro in particolare, – dice – oltre che per una maggiore diversificazione dei ricavi che risulta però complessa in un contesto economico ancora in lento sviluppo». La pensa diversamente il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. In vista dell’incontro con Abi di venerdì sul contratto è convinto che alla distribuzione di «importanti dividendi agli azionisti debba corrispondere un adeguato aumento economico ai lavoratori». La stagione dei tagli al personale, dice Sileoni «è conclusa» e «in un clima come quello che viene costruito dall’indagine di Abi, lo scontro sul rinnovo del contratto sarà inevitabile. Oggi (ieri, ndr) le banche hanno fissato dei paletti, per tentare di condizionare la trattativa del contratto nazionale. Paletti che non trovano giustificazioni né politiche né organizzative né economiche. Se qualcuno cerca di orientare a proprio favore il rinnovo di questo contratto, troverà pane per i suoi denti». Sul contratto, dice il presidente del Comitato affari sindacali e del lavoro (Casl) dell’Abi, Salvatore Poloni «ci stiamo parlando». Però, fa notare, «non ci sono ancora le piattaforme sindacali». Comunque visto che il 31 dicembre, data di scadenza del contratto, si avvicina «il problema adesso è capire come traghettare», dice. 
La presentazione del Rapporto Abi sul mercato del lavoro 2018 è una tradizione «ultraventennale ed è un momento di analisi tecnica, quest’anno focalizzata sulla regolamentazione, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione – spiega Poloni -. Il Rapporto affronta una molteplicità di temi e di prospettive che debbono essere analizzate e valutate nella loro interezza per fornire una corretta rappresentazione dei fenomeni». In ogni caso prosegue il presidente del Casl, «non è teso a precostituire elementi di rigidità volti a orientare o condizionare il futuro percorso di confronto sindacale che deve necessariamente svolgersi nel tavolo preposto e nel consueto clima di confronto costruttivo che caratterizza le relazioni sindacali nel settore». 
Intanto, tornando al rapporto Abi, il volto che incroceranno i clienti in banca o al contact center, sarà sempre più spesso quello di una donna (sono il 45,9%), quarantenne (l’età media è 42,5 anni), molto probabilmente laureata, con un’anima digitale e capace di offrire consulenza ad ampio spettro. Questa nuova immagine ha però qualche aspetto che, soprattutto per i sindacati, fa l’effetto di uno stridio. I numeri, come si diceva. Quelli dei lavoratori bancari subordinati, non tanto quelli del potere di acquisto dei bancari, visto che la retribuzione contrattuale annua, secondo Abi, ha consentito il pieno recupero del potere di acquisto eroso dall’inflazione, quanto il loro numero fisico. Il rapporto 2018 evidenzia che i bancari dipendenti delle 359 aziende associate ad Abi sono scesi sotto la soglia dei 300mila: al 31 dicembre 2017 sono rimasti 297.700. Cinque anni prima, al 31 dicembre 2012, come si può leggere nel rapporto Abi del 2013, erano 323.400.
Siamo dunque di fronte a una progressiva contrazione che nel solo 2017, rispetto al 2016, è del 4,2%. Si tratta di un processo in corso ormai da molti anni, di cui oggi si cominciano a vedere gli effetti. Sui numeri assoluti certo, ma anche sul ricambio generazionale. Le ristrutturazioni delle banche italiane va però sottolineato che sono avvenute sempre attraverso accordi sindacali e l’uso del Fondo di solidarietà che hanno limitato al minimo l’impatto sociale. L’ammortizzatore di settore, nel periodo 2001-2018, ha accompagnato alla pensione 70mila addetti. Con un abbattimento tra retribuzione e assegno pensionistico limitato ad alcuni punti percentuali, anche per effetto degli importanti apparati di previdenza complementare che caratterizzano il welfare del settore, e che sono presenti fin da quando i lavoratori fanno il loro primo ingresso in banca. Solo per fare un esempio, se è vero che l’ultimo rinnovo ha determinato un salario di ingresso per i giovani, è altrettanto vero che l’impegno delle aziende sulla loro previdenza complementare è stato portato al 4%.
Le uscite sono comunque state compensate da un ricambio generazionale reso possibile dall’intervento di un altro strumento contrattuale bilaterale, il Fondo per l’occupazione che tra il 2012 e il 2018 ha consentito sostenuto 20mila assunzioni o stabilizzazioni di giovani. A cui, ancora viene prospettato il posto fisso. Nella discussione sulle tipologie contrattuali il credito si distingue perché il 55,3% dei contratti di assunzione è a tempo indeterminato, il 9,2% in apprendistato e il 35,5% a termine. Dati che si riflettono sul 99% di lavoratori che ha un contratto a tempo indeterminato.