Corriere della Sera, 17 dicembre 2018
Intervista a Sophie Floersch, la pilota 18enne sopravvissuta all’incidente in pista
MONACO DI BAVIERA «Ho scelto questo posto per vederci perché ci vengo sempre. Qui ho festeggiato i 18 anni con gli amici. Avrei voluto farlo in discoteca, ma poi l’incidente ha cambiato i programmi. Che importa? Ora ho due compleanni: il 1° dicembre e il giorno che sono tornata da Macao, viva (il 27 novembre, ndr). Lì è iniziata la mia seconda vita». Sophia Floersch arriva senza il collarino, è accompagnata dal papà Alexander. Si nota il grande cerotto sotto i capelli biondi, lei sorride tanto.«Fra un po’ torno a casa e devo rimetterlo, ma sto bene. Vede?». Nevica fuori dal Bar Italia, che in realtà è un ottimo ristorante. Giuseppe Monteleone, detto «Martini», le serve un cappuccino. Ha una giacca rossa con il cavallino della Ferrari, ha lasciato il Friuli trent’anni fa e dopo aver girato parecchio è arrivato a Grunwald, un paesino alle porte di Monaco fra i più ricchi in Germania. Con Sophia si conoscono da sempre, anche lui l’ha vista decollare a 276 km/h e ha trattenuto il respiro.
Sophia, come sta?
«Bene, a parte qualche dolorino. Miglioro ogni giorno: ho iniziato la riabilitazione la scorsa settimana, presto mi rimetterò sulla cyclette per allenarmi».
Che cosa ricorda dell’incidente di Macao?
«Volevo sorpassare quelli davanti, uno ha frenato, io ho perso il controllo e ci siamo toccati. A quel punto ricordo tutto, da dentro la macchina hai una prospettiva diversa. Rivedo quando sono finita contro il muro, sulle barriere... i soccorsi, il rumore. Tutto».
E che cosa ha provato in quei momenti?
«Le stesse sensazioni di altri incidenti che avevo avuto prima: pensavo solo a frenare e a prepararmi all’impatto. Non hai molto tempo per riflettere su nulla, e poi andavo velocissima. È avvenuto in pochi secondi, mi sono resa conto solo dopo di quanto sia stato brutto l’incidente».
Quando?
«Quando ho visto i video su internet, il giorno dopo l’operazione. Erano immagini terribili, ma avendolo vissuto da dentro la macchina ho provato sensazioni diverse. Davanti allo schermo del telefonino mi è sembrato come se non fossi io quella che andava a sbattere contro la torre dei cameraman. So che è difficile da spiegare, ma non sembrava così orribile dall’abitacolo».
È stata fortunata, lo sa?
«Sì. Poteva andarmi molto peggio. Avevo tanti angeli intorno a me».
Crede in Dio, è religiosa?
«Non sono praticante, ma credo in Dio. E adesso credo negli angeli, a Macao mi hanno protetto».
E così è iniziata la sua «seconda vita»...
«Sì, quando ho capito che stavo bene e potevo muovere tutto. Mi sono sentita rinascere. Poi sono rientrata qui, a casa: nevicava, era bellissimo. Ho rivisto mia madre e mia sorella che non erano venute in Cina, un’emozione forte».
Appena rientrata ha espresso un desiderio particolare?
«Sì, ho chiesto di mangiare del cibo “normale”».
Tipo?
«Un piatto di pasta».
Ha ricevuto tanti messaggi di auguri, incluso quello di Mick Schumacher. Lo conosce?
«Sì, da tanto tempo. Abbiamo iniziato sui kart insieme e poi siamo passati alla Formula 3. È un bravo ragazzo, mi ha dato tanta forza, lui e tutte le prove di affetto che ho ricevuto dalla F1, da tutto il mondo delle corse e non solo».
E adesso Sophia che programmi ha?
«Tornare a correre (continuerà nell’europeo di F3, ndr). Vorrei recuperare in fretta, i medici dicono che forse sarò in grado di guidare a marzo. Devo essere pronta».
Non ha paura? Crede che l’incidente, anche inconsciamente, possa cambiare il suo approccio alle corse?
«No, nessuna paura. E non ho mai pensato a smettere. Correre è la mia vita, lo faccio da 13 anni».
Perché le piace tanto?
«Ho iniziato su un kart a 4 anni, papà correva e io andavo a vederlo. All’inizio era solo un passatempo, poi dopo la prima corsa mi sono divertita troppo. E allora abbiamo passato tanto tempo in Italia sui kart: Lonato, Jesolo, Viterbo. Crescendo ho capito che cosa volevo: arrivare in Formula 1 e lottare per vincere il campionato. L’obiettivo non è cambiato».
Ma quanto è difficile per lei che è una donna correre contro gli uomini?
«In F3 mi conoscono tutti. Una ragazza deve dimostrare sempre di più, devi battere i maschi per essere rispettata. Se succede cambia tutto: quando ci riuscivo sui kart ci rimanevano troppo male, piangevano».
E adesso?
«Sono cresciuti e lo accettano. Io non voglio correre in campionati femminili, voglio correre solo contro i migliori e i migliori in questo momento sono uomini».
O giovanissimi. Si parla bene di Charles Leclerc, il nuovo pilota della Ferrari. È stato anche nel suo team (Van Amersfoort), diventerà un campione?
«Sì, specialmente con la Ferrari. È bravo e umile, e ha lottato tanto per arrivare fin lì e vincerà».
Ha un modello da seguire?
«Lindsey Vonn, la campionessa di sci. Per quanto ha vinto, per le motivazioni che trasmette, per la sua forza».
Cosa la fa arrabbiare di più?
«Il traffico in strada. E ora di non poter guidare in pista».
Tornerà mai a Macao?
«Spero proprio di sì, se sarà possibile già l’anno prossimo. È un circuito troppo bello».
Prima di salutare Alexander, il papà, si ferma a chiacchierare. Ci chiede dell’Italia, della Ferrari, di Vettel. Poi tira fuori lo smartphone e ci mostra una radiografia: «Lo vede qui? Questa è la frattura (alla settima vertebra, ndr), è grande: il midollo spinale non è stato intaccato per una questione di un millimetro forse. Un miracolo».