la Repubblica, 17 dicembre 2018
In morte di Felice Pulici
Quando ero piccolo e stavo sempre con loro, con quei giocatori pazzi e leggendari allenati da mio padre, ero convinto fossero eroi immortali. Invece se n’è andato pure Felice». Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso, tra le lacrime trova ricordi nitidi di Pulici, portiere della Lazio bella e maledetta dello scudetto ’74, dirigente di quello 2000. «Mi aveva telefonato il 2 dicembre, furibondo perché per la prima volta dopo 42 anni non era stata organizzata la messa per l’anniversario della morte di babbo. Come il segnale di un cambiamento definitivo, una premonizione».
Pulici detto Felix se n’è andato a 73 anni, dopo aver a lungo lottato con il cancro. «Come compagno di stanza all’ospedale gli era capitato un tifoso della Lazio commosso e incredulo all’idea di condividere questo percorso con un suo idolo. Lui si emozionava per cose così». Parava a mani nude, Pulici. Al limite, guanti di lana quando pioveva, comprati personalmente all’Upim, costavano mille lire. Nelle immagini in bianco e nero di quella straordinaria avventura, lo vedi volare da un palo all’altro e bloccare sulla linea palloni di fango. «In un derby quattro giorni prima che mio padre morisse, nel ’76, gli dedicò una prestazione incredibile. Parò di tutto, la Lazio vinse 1-0, gol di Giordano». A volte Maestrelli impazziva per le smargiassate di Chinaglia e Pulici mediava. In quello spogliatoio diviso quando non contava, cioè durante la settimana e mai la domenica, Felice era nel clan di Long John, dall’altra parte c’erano Martini e Re Cecconi. In ritiro leggeva Sant’Agostino. «Ognuno di quei calciatori aveva caratteristiche umane diverse, mio padre riusciva a entrare nelle loro teste, era difficile ma lui si divertiva.
Pulici era più saggio di altri, con una volontà di ferro. Basti pensare che a 40 anni si è rimesso a studiare, laureandosi in Legge: non da tutti, direi».
Estremo difensore, davvero. Della Lazio tra i pali e da avvocato, ai tempi di Calciopoli. Del suo amico Chinaglia che lo volle dirigente e anche di un calcio antico, quando l’Ascoli poteva arrivare quarto in Serie A. Con Pulici in porta, certo, dopo i cinque anni senza mai un’assenza nella Lazio, la squadra della vita. «Veniva dal Nord – ricorda ancora Maestrelli jr – e per questo in quello spogliatoio pagava dazio, lo prendevano in giro». Era brianzolo, il papà faceva l’operaio alle Acciaierie Falck di Sesto San Giovanni. La mamma era in sanatorio, così Felice era cresciuto con le zie e con una passione totalizzante per il calcio. Gli piaceva Giorgio Ghezzi, numero 1 prima del Milan e poi dell’Inter soprannominato “kamikaze” per il coraggio speciale. Arriva nella Lazio che ha già 27 anni: su di lui scommette Bob Lovati, vice di Maestrelli ed esperto di portieri perché lo era stato. «Mi ricordava spesso quell’incredibile primo colloquio con mio padre: Felice si aspettava il classico interrogatorio su tecnica e ambientamento. Invece babbo gli parlò del suo problema del momento: si era dimenticato la cinta, i pantaloni gli cadevano, gli chiese di accompagnarlo a comprarne una. Capì subito che sarebbe stato un rapporto speciale. E infatti spesso veniva a casa per confidarsi, quando ne aveva bisogno». Dopo la partita dello scudetto, il 12 maggio ’74, tutti a festeggiare meno lui: si ritrovò nella camera d’ospedale di Martini, finito lì per infortunio. Non si trattava di uno slancio solidale: il compagno era l’unico ad avere le chiavi del suo armadietto, Felice doveva cambiarsi e volare al paese, Sovico, dalla moglie. Stava nascendo Gabriele, il secondogenito. Un altro calcio, sì. In quello di oggi, la Lazio giocherà a Bergamo con il lutto al braccio.
Cordoglio di Gravina («Un grande amico sempre disponibile») e dolore di Inzaghi: «Perdiamo un grandissimo laziale». Della squadra del ’74, oltre a Maestrelli, se ne sono andati Re Cecconi, Frustalupi, Chinaglia, Polentes, Facco. «Grazie a quella impresa», dice Massimo Maestrelli, «il loro ricordo è vivo. Allora forse non mi sbagliavo, sono immortali».