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 2018  dicembre 17 Lunedì calendario

Visita al museo dove finiscono le storie d’amore

ZAGABRIA «Equesto chi lo tiene?». «Questo» era un coniglietto di peluche. Dopo quattro anni insieme Olinka Vistica, produttrice cinematografica, e Drazen Grubisic, scultore, si stavano lasciando «da buoni amici». Nella casa di Zagabria dove avevano vissuto separavano gli oggetti, il mio, il tuo. Il coniglietto concordarono, era indivisibile, patrimonio comune.
Non poteva appartenere in esclusiva all’uno o all’altro. Lo avevano chiamato Honey Bunny. Olinka: «Era un sostituto dell’animale domestico che non ci eravamo potuti permettere perché eravamo spesso via e perché Drazen è allergico ai gatti. Un soffice giocattolo che mi strappava un sorriso quando tornavo esausta dal lavoro». Per Drazen, «un compagno per i nostri viaggi, ma non è mai andato oltre l’Iran». Dove l’avevano fotografato in un deserto attorno a Teheran.
Chi lo tiene, allora? Ci pensarono senza trovare una soluzione. Però concordarono su una riflessione. Olinka: «La società contempla riti come matrimoni, funerali, cerimonie di laurea, ma rifiuta qualsiasi riconoscimento formale alla conclusione di una storia nonostante il suo fortissimo impatto emotivo». Si ricordarono una frase dell’amato Roland Barthes: «Ogni passione ha alla fine un proprio spettatore. Non esiste sacrificio amoroso senza teatro finale». Si trattava di allargare la platea e di fornire un palcoscenico alle relazioni esaurite. Ci vollero tre anni perché l’idea prendesse corpo. Contattarono gli amici che avevano esperienze di naufragi sentimentali e il passaparola fece il resto. Nel 2006, per il Salone d’arte della loro città, avevano racimolato 40 oggetti-simbolo di amori perduti da esporre nella Gipsoteca. Fu subito un successo replicato a Spalato, Lubiana, Sarajevo, Belgrado, Skopje, la ex Jugoslavia implosa si riconosceva nell’universalità delle pulsioni più profonde dell’animo umano.
Proprio perché toccava esperienze comuni ad ogni latitudine, l’iniziativa varcò in breve i confini dei Balcani. «Ci arrivavano richieste», ricorda Drazen, «da ogni parte del pianeta». Filippine, Singapore, San Francisco, Irlanda, Turchia, Germania. Con una formula raffinata nel tempo. Galleristi locali che raccolgono oggetti nella loro terra da combinare col materiale della casa madre. E mentre la fama cresceva, a Zagabria piovevano da ogni dove, i simboli rimasti cari ai cuori spezzati. Tanto da spingere il duo scisso dall’amore ma unito dall’impresa a bussare alla porta del ministero della Cultura per trovare una sede permanente per un nascituro museo. Il diniego non li ha scoraggiati. Le autorità pubbliche non sono interessate? Lo faremo privatamente.
Trovano, siamo nel 2010, quello che fa al caso loro, uno spazio di 300 metri quadrati, nel palazzo Kulmer, un edificio barocco, nella parte alta e più suggestiva di Zagabria, a pochi passi dalla chiesa di San Marco. Diventa il deposito delle sofferenze provocate da una perdita col nome “Museo delle relazioni interrotte” (Museum of Broken Relationships, sito Internet: brokenships.com).
Come esiste l’intenzione dell’autore di un libro che ogni lettore poi interpreta a modo suo, così esiste una volontà dei responsabili del museo che cozza con quella dei contributori globali. Drazen Grubisic: «Noi speravamo di fornire un’alternativa al “brucia tutto”, per salvare la memoria di qualcosa che deve anche essere stato bello e dare a ciascuno l’opportunità di superare in modo creativo il crollo emozionale. Nella convinzione che tutte le relazioni finiscono. È triste ma è la realtà». Nella stragrande maggioranza dei casi è invece la testimonianza di un inconsolabile dolore patito che permea le stanze dell’esposizione, dove ogni oggetto è accompagnato dal luogo di provenienza e da una spiegazione del perché della sua importanza.
C’è lo gnomo da giardino ammaccato scagliato contro la macchina nuova con cui si è presentato «arrogante e spietato» il marito nel giorno del divorzio (provenienza, Lubiana). L’inutile citazione al tribunale per i minorenni presentata fuori tempo massimo, quando era adulta, da una francese che subì a nove anni lo stupro dall’organizzatore delle attività del campo estivo: «Con la denuncia mi sbarazzai di un rimasuglio di sentimenti di cui lui non era affatto degno» (Parigi). Un’inquietante accetta, “strumento terapeutico” con cui ha cercato di superare un amore lesbico una donna abbandonata dalla compagna, è stata usata per ridurre a pezzettini i mobili di lei (Berlino). Quattro cd, compilation di un uomo di 34 anni regalati a una donna di 62 che troncò il connubio impossibile: «Quando morirò, la mia famiglia riordinerà i ricordi e non ci troverà nessun trantaquattrenne. Ho cancellato le prove e memorizzato i ricordi nel cuore. Donando i cd onoro sia lui sia il mio cuore infranto» (Richmond, Virginia, Stati Uniti).
Il millepiedi “Timunaki” da sfogliare come una margherita: «Avevo un grande amore. Una storia a distanza tra Sarajevo e Zagabria. Acquistai un millepiedi con l’intento di strappare un piede ogni volta che ci vedevamo. Strappato l’ultimo piede avremmo fatto il passo gigante verso una vita insieme.
La storia finì, il millepiedi non rimase invalido al 100 per cento» (Sarajevo). Un paio di scarpe rosse: «Me le comprò lui in un sexy-shop a Pigalle. Come dice Catherine Ringer (cantante e attrice porno, ndr), les histoires d’Amour finissent mal en généraaal...» (Parigi).
Il museo oggi conta 120mila visite all’anno. Il 95 per cento sono turisti. Drazen: «Ogni tre anni lo rinnoviamo completamente e non esponiamo più di cento ricordi alla volta. Abbiamo però un magazzino dove abbiamo stivato tremila donazioni». Nel frattempo è nata una filiale permanente a Los Angeles, le esposizioni temporanee hanno raggiunto il numero di 50 in quattro Continenti: «Curiosamente non siamo mai stati nei Paesi mediterranei, Italia, Spagna, Grecia». E allude a un certo pudore di alcuni popoli nel mostrare i propri fallimenti.
Olinka e Drazen, oggi entrambi 49 anni, si sono sposati e fatto figli con altri partner. E cosa pensano del vostro sodalizio gli attuali compagni di vita? «Che abbiamo trovato un modo per continuare la nostra relazione».