la Repubblica, 17 dicembre 2018
La battaglia dei cieli contro l’Isis Sull’Awacs a caccia del Califfo
Sullo schermo del tenente Bob il confine della Siria è una linea rossa tratteggiata. Il responsabile degli armamenti ha regolato il suo terminale per mostrare i rilevamenti radar dell’Awacs: sfondo nero, linee di riferimento colorate, e puntini luminosi a segnalare i grandi oggetti metallici che riflettono le onde elettromagnetiche. In parole più semplici, gli aerei in movimento nella zona controllata.
I caccia della coalizione anti-Stato Islamico già individuati sono indicati in azzurro, i radar di terra sono verdi, i Sukhoi e i Mig dell’aviazione russa sono colorati di arancione, i punti gialli sono quelli ancora non identificati. Ma anche prima che le apparecchiature di bordo leggano i dati dei vari transponder – la” carta d’identità” di ogni aereo – basta vedere l’accumulo di puntini luminosi in una zona dello schermo per capire. La concentrazione dei movimenti è massima in un angolo della Siria: è la zona di Hajin, nel distretto di Abu Kamal, provincia di Deir Ezzor, vicino al confine con l’Iraq. È l’ultima roccaforte del Califfato, e sul terreno la coalizione a guida curda SDF ha appena riconquistato la città più grande dopo tre mesi di combattimenti.
I puntini luminosi continuano a tornare con caparbietà su quell’angolo della mappa. “Sembra un alveare”, dice il tenente. In realtà è difficile sfuggire a un’immagine meno gradevole, ma più realistica: uno sciame di mosche che si accanisce su un animale morto. “Il lavoro è diventato più facile: nel maggio scorso, c’erano decine e decine di aerei in movimento su tutta la Siria”, dice Bob.
Insomma, quella raccontata sullo schermo dell’Awacs è l’agonia del sedicente Stato Islamico, o quanto meno la fine del suo radicamento territoriale. Non è ovviamente la fine dell’incubo per l’Occidente o per i musulmani moderati. Non è neanche la fine del sogno millenario dei fanatici. Ma è senz’altro un colpo significativo alle capacità del gruppo di Abubakr al Baghdadi, almeno per quanto riguarda le sue capacità di proselitismo e di richiamo per i jihadisti di tutto il mondo.
L’Isis come organizzazione terroristica continuerà a organizzare attentati, magari dalle sue nuove basi in Africa. Ma per ora è un problema che sull’Awacs sembra lontano. All’inizio della giornata di volo Andy, il veterano dell’equipaggio, avverte gli ospiti che non dovranno preoccuparsi se sentono quelli che sembrano” canti delle balene": sono solo i rumori dell’antenna, che deve entrare in temperatura prima di iniziare la giornata.Il comandante Tomas chiarisce: “Resteremo nello spazio aereo della Turchia, perché le regole della Nato non prevedono che partecipiamo direttamente all’azione militare”. L’Alleanza atlantica come istituzione fa parte della coalizione contro l’Isis, ma resta fuori dalle azioni offensive. In esse invece sono impegnati diversi Paesi membri, con decisione a livello nazionale. L’Awacs, proprietà diretta dell’alleanza, controlla e indirizza il traffico aereo nei cieli siriani, ma senza dare il via agli attacchi o individuare gli obiettivi. Ma lo schieramento avanzato di un assetto preziosissimo come l’aereo- radar serve anche a consolidare i rapporti diplomatici, in un momento che vede tensione fra la Turchia e gli Stati Uniti, fra dissidi sulle forniture militari e soprattutto contrasto aperto sulla presenza curda organizzata in terra siriana, che Ankara considera inaccettabile.
Così sotto l’antenna gigante del Boeing E- 3A la Nato cerca di raffreddare le ostilità, ricordando la disponibilità di Ankara, che sin dal primo momento ha concesso per le operazioni la base avanzata di Konya, poco lontano dalla Siria. E allo stesso tempo sottolineando che gli alleati sono impegnati per la difesa della Turchia, che apparentemente teme attacchi missilistici da oltre confine.
Oltre alla sorveglianza garantita dagli Awacs, i partner Nato hanno messo a disposizione batterie antimissile: la Spagna ha schierato i Patriot ad Adana, mentre l’Italia ha messo in campo gli Aster Samp/T a Kahramanmaras.