il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2018
Redditi degli onorevoli: la trasparenza è a rate
La trasparenza in politica è spesso un’illusione oppure è rilasciata a rate e neanche si compie mai davvero, come per i redditi dei parlamentari. Per una legge del 1982 aggiornata ai tempi di internet da un decreto del 2013, i 945 deputati e senatori sono obbligati a depositare agli uffici per le prerogative e le immunità del Parlamento le dichiarazioni patrimoniali entro tre mesi dal giorno della proclamazione e poi a firmare una liberatoria per la pubblicazione sui portali di Camera e Senato.
Questa legislatura, la numero diciotto, è cominciata a marzo: i termini, con qualche minima distinzione, sono scaduti. Eppure decine, anzi centinaia di parlamentari di partiti di maggioranza e opposizione – esclusi i componenti del governo, che subiscono più controlli – non hanno ancora consegnato i documenti e le pagine personali su internet sono spoglie. Le norme sono blande perché la scadenza fissata a tre mesi dall’ingresso in Parlamento è ordinatoria e non perentoria: non si rischiano sanzioni. Così tra gli inadempienti c’è chi ignora la questione, chi si dimentica, chi non è sollecitato, chi ne approfitta.
Ogni anno, in marzo, il Parlamento raccoglie i dati che può e comunica all’esterno la solita classifica dal più facoltoso in giù, estesa ai dirigenti di partito non eletti, come Silvio Berlusconi o Beppe Grillo. In sintesi, la trasparenza è a rate e in differita: nel 2019 avremo le dichiarazioni del 2018 relative al 2017. Qualche settimana fa, il Fatto ha segnalato i parlamentari già in regola. Come Adriano Galliani, senatore di Forza Italia, che si candida a trionfare nella classifica dei più ricchi con un reddito imponibile (2017) di 10,6 milioni di euro nell’anno dell’addio al Milan dopo la vendita e oltre un quarto di secolo di trofei. Come il deputato Dario Bond, sempre di Forza Italia, che ha un reddito totale di circa 6.000 euro e zero di imponibile e dunque sarà nel girone dei meno abbienti. All’appello mancano, per Palazzo Madama, nomi illustri: Matteo Renzi, che nel 2017 era “soltanto” segretario del Pd; Licia Ronzulli, considerata nel cerchio magico di Berlusconi; Mariarosaria Rossi, altra esponente dei consiglieri dell’ex Cavaliere. Non pervenuti tanti Cinque Stelle, a partire da Rosa Silvana Abate, di professione avvocato, che apre l’elenco dei senatori.
Palazzo Madama ha informazioni più aggiornate e complete di Montecitorio, che arranca. Anche il pentastellato Roberto Fico, il presidente, non ha diffuso ancora la cosiddetta “documentazione patrimoniale”, a differenza di Maria Elisabetta Alberti Casellati, la “collega” del Senato. Da Montecitorio fanno sapere che a giorni il vuoto sulla pagina di Fico del portale ufficiale sarà colmato e che si tratta di un errore tecnico, poiché il reddito del 2017 è uguale al 2016 e riguarda i compensi da deputato. Pure un vice di Fico, Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, è in ritardo e in affollata compagnia. Non ci sono i documenti di Maria Elena Boschi, che ha trascorso la scorsa legislatura al governo e fino a giugno ha pubblicato le proprie schede sul sito di Palazzo Chigi.
A Montecitorio la trasparenza sui redditi è molto parziale: assente per i forzisti Antonio Angelucci, Deborah Bergamini, Michela Vittoria Brambilla e tanti altri. Poi c’è il gruppo del Movimento, in cui troviamo il giovane Raphael Raduzzi, classe ‘91, consulente, relatore alla manovra in commissione Bilancio. Per i leghisti, per esempio, si può citare Massimiliano Capitanio, tesoriere a Montecitorio. I parlamentari mostrano sui siti di Camera e Senato ampie biografie, proposte di legge, interrogazione urgenti, pochi hanno pubblicato la documentazione patrimoniale. Ci saranno mille e valide ragioni per giustificarsi, ma anche l’esigenza di regole più chiare e di una trasparenza vera.