il Giornale, 17 dicembre 2018
Putin dichiara guerra al rap
«Se è impossibile fermare qualcosa, devi prenderne il controllo». La terza via di Vladimir Putin per affrontare il binomio droghe-concerti rap passa anche da questa tesi, espressa in occasione del consiglio consultivo sulla cultura e le arti. Allarmato dalla crescente popolarità del rap tra i giovani russi, che porta in dote tutto ciò che riguarda la trasgressione nei locali notturni e il business legato agli stupefacenti, Putin ha smentito i suoi detrattori che già immaginavano un roboante giro di vite con repressione e pugno duro: nulla di tutto ciò. Per affrontare il delicato problema, il presidente propone infatti che i leader culturali escogitino un mezzo per controllare, piuttosto che vietare, la musica popolare.
Tutto nasce dalle performances in stile «Acab» del rapper russo Husky, noto per le sue rime anti governo, anti istituzioni e anti polizia. Avrebbe dovuto esibirsi in un concerto nella città di Krasnodar lo scorso 21 novembre ma i magistrati glielo hanno impedito: troppo legato l’artista «a elementi di estremismo», quindi valutato come un pericolo socioculturale. Il concerto quindi è stato spostato in un altro club, dove però non si è celebrato con i suoi fans che hanno affollato il piazzale antistante il locale. A quel punto allora Dmitry Kuznetsov (questo il suo vero nome) ha cantato dal tetto di una macchina mentre i fan rispondevano all’unisono. Per questo è stato arrestato e condannato a 12 giorni di carcere con l’accusa di teppismo e si è rifiutato di fare un test antidroga. Numerosi sono stati i club che dopo l’episodio hanno preferito cancellare le date delle sue esibizioni. La nuova generazione di adolescenti russi, figli della classe media creata nell’ultimo decennio, mostra vari segni di affinità alla comunità virtuale del rap, ma che poi si tramuta in vettore di propaganda come fatto dal politico dell’opposizione Alexei Navalny che nel marzo 2017 proprio grazie alla rete di musica e social ha richiamato migliaia di giovani in piazza.
Putin ha replicato così allo spunto del produttore Igor Matvienko, che chiedeva di strutturare un sistema di guida ai concerti dedicato ai genitori: «Dici che il rap si basa su tre pilastri: sesso, droga e protesta. Di tutti questi, la droga è il più preoccupante. È la via verso il degrado di un Paese», le sue parole. Aggiungendo, a proposito del fatto che il rap è pieno zeppo di espressioni scurrili nei testi, che una linguista gli ha detto «che le parolacce fanno parte del nostro linguaggio. Il problema è solo come le usi».
Non quindi un rap di Stato come qualcuno lo ha già definito, ma forme di gestione contro fenomeni che non hanno evidentemente a che fare solo con musica e rime anti sistema. In questo filone si inserisce la proposta di Sergei Naryshkin, presidente del Comitato organizzatore per il supporto alla letteratura e all’editoria: ha chiesto al ministero della cultura di istituire programmi di sovvenzioni per sostenere i rapper locali. È sceso in campo persino l’Fsb per accompagnare le restrizioni e i controlli dei poliziotti che hanno interessato negli ultimi mesi artisti quotati, tra cui Allj (il cui successo «Pink Wine» è stato visto da 176 milioni di utenti su YouTube), la pop star Monetochka, passando per Matrang, Jah Kahlib e HammAli & Navai.
Da tempo nel paese gruppi di volontari e associazioni di genitori si sono mobilitati contro alcune espressioni musicali che «hanno un’influenza negativa sulla società e sui più giovani». Lo dimostrano i testi di alcuni cantanti rap che inneggiano apertamente alla droga e al suicidio.