Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 17 Lunedì calendario

Angelo Izzo vuole diventare avvocato

«Sto preparando due esami di giurisprudenza per la sessione di gennaio-febbraio. Ormai me ne mancano solo un altro paio e la tesi, e alla fine sarò un avvocato». Chi si prepara ad agguantare la laurea, non è un universitario qualunque. Chi ci scrive confidando sogni, rimpianti e obiettivi è Angelo Izzo, 63 anni, un criminale che negli anni si è macchiato di una serie di omicidi, stupri, rapine, tanto da passare ormai tre quarti della sua vita in carcere. Il suo nome resta legato soprattutto al cosiddetto “massacro del Circeo” del 1975, un delitto a cui partecipò anche Gianni Guido e Andrea Ghira e che gli costò il primo ergastolo per aver ucciso Rosaria Lopez e torturato Donatella Colasanti. Fu lui che pianificò l’orrendo omicidio. I tre invitarono le due ragazze di borgata, di 17 e 19 anni, nella villa estiva di Ghira, al Circeo. Qui partì il piano criminale di Izzo e compagni: dopo 35 ore di torture, stupri e sevizie, i tre uccisero Rosaria e ferirono Donatella, che si finse morta. I tre assassini, ingannati, la chiusero nel bagagliaio dell’auto, poi si fermarono a mangiare in un ristorante. La ragazza riuscì, con calci e pugni, ad attirare l’attenzione di un metronotte e si scoprì l’orrendo retroscena. All’epoca fece il giro del paese l’immagine della ragazza uscita dal bagagliaio, immortalata da un fotografo che aveva intercettato le comunicazioni delle forze dell’ordine. Ora sulla figura del pluriomicida, potrebbe gravare un altro delitto, quello di Rossella Corazzin, che avrebbe riferito ai magistrati di aver commesso insieme a Guido e Ghira, lo stesso trio del Circeo. Ma lui nega.

LIBRI E RICORDI Rinchiuso nel penitenziario di Velletri, con una prospettiva di fine pena mai, Izzo oggi racconta le sue giornate passate a divorare libri e ricordi. «Come ti ho detto», ci scrive, «non credo di ottenere qualche vantaggio serio, tuttavia non dispero di farcela ad uscire con qualche beneficio in futuro. Mi basterebbe trovare un giudice di sorveglianza amante delle sfide». Nell’attesa, uno dei detenuti più temuti studia per diventare avvocato. «Mi volevo laureare in medicina, ma non è stato possibile», confida. «Leggo molto, mentre fuori non toccavo un libro. Ogni volta che mi rinchiudono in carcere divento un lettore compulsivo. Naturalmente le mie preferenze vanno al noir e ai libri d’inchiesta seri. Il libro che mi ha cambiato la vita è “La condizione umana” di Malraux. Un bell’esempio di vita dedita alla compassione e alla spada, il mio ideale». È diventato un esperto in legge anche a forza di leggere i suoi atti processuali. «Ho una udienza fissata il 12 aprile a Perugia», confida, «sull’omicidio Corazzin. Ho letto gli atti e mi pare che il vaglio del processo per lo meno sarebbe dovuto, non si possono liquidare prove con la bislacca teoria che siano fortunose combinazioni. Io non ho partecipato né al rapimento né all’omicidio, ma ho visto la ragazza a Riccione in un casale dell’entroterra prigioniera. Poi l’ho rivista durante un rito nella villetta sul Trasimeno dei Narducci, cui ho partecipato. Pure se io ero già battezzato in precedenza adepto della “scala massonica”della Rosa Rossa e la Croce d’Oro, tuttavia ero presente». Le giornate di uno dei più temuti criminali italiani, quarto figlio di una famiglia romana borghese, eversivo di destra legato agli ambienti neofascisti, trascorrono lentamente, tra studio, piatti da cucinare, e passeggiate con altri detenuti. «Qui in sezione, tra gli altri, c’è Massimo Ciancimino. Ogni tanto viene in cella da me. E quando lo ha confidato per lettera a un suo amico, questo gli ha risposto preoccupato che immaginava mi tenessero come Hannibal del film “Il silenzio degli innocenti”, con la camicia di forza e il mascherone». Anni fa Izzo ha iniziato a collaborare, dalla fuga di Ghira al sequestro di Ezio Matacchioni, offrendo anche alcune rivelazioni sulle stragi che negli anni ’70 insanguinarono l’Italia (Piazza della Loggia, Piazza Fontana, la strage di Bologna). Nel 2005, mentre era in semilibertà, è tornato a uccidere la moglie e la figlia di un pentito della Sacra corona unita (Maria Carmela e Valentina Maiorano) per cui prese un altro ergastolo e di recente ha svelato l’omicidio di Rossella Corazzin, la 17enne friulana sparita nel 1975, rapita e assassinata sulle sponde del lago Trasimeno. «Ho conosciuto anche Francesco Narducci», confida, era un ragazzo molto avvenente e intelligente. Lo avevamo soprannominato “Boris Karloff” «Non so dirti se era davvero lui il mostro di Firenze?». Ma come si diventa pluriomicida? «Da ragazzi noi ci sentivamo i nipotini delle SS, degli spartani, dei vichinghi, dei samurai? Dai sedici anni del 1971 non sapevamo nulla di malavita, eravamo solo molto esperti di armi, esplosivi, coraggiosi fino alla follia, ci sentivamo dei guerrieri. Ad un certo punto ci buttammo a corpo morto a fare rapine. Facevamo quattro banche a settimana certe volte».

«CI PIACEVA» «Certo, per i soldi – ci ha risposto Izzo -, ma anche perché ci piaceva proprio. Era tutta una follia di assalti e di violenze di ogni tipo. Non avevamo nessun rispetto per gli altri che non eravamo noi. Sfioravamo il prossimo, anaffettivi, come si sfiora un muro passeggiando. Ma ci intenerivano i brani di Mogol. Poi abbiamo fatto il salto di qualità e siamo passati ai sequestri di persona un po’ in tutta Italia. Sono stati anni folli e grandiosi, finchè è durata. Ammazzavamo chiunque ci ostacolasse, facevamo rapine grosse senza spesso neppure essere denunciati e vivevamo alla grande tra ristoranti di lusso, hotel a 5 stelle, Porsche. Spendevamo denaro come dittatori del terzo mondo in esilio, partecipando anche alla strategia della tensione. Vivevamo come se non ci fosse un domani. Questo il quadro nel quale ci è piombato addosso il delitto del Circeo». «I primi 15 anni di carcere ero rimasto prigioniero della mia immagine e così, appena sono uscito, non vedevo l’ora di ricominciare come prima. Poi negli anni Novanta – prosegue Izzo in una delle sue lettere -, quando mi arrestarono a Parigi, ho iniziato a vedere i limiti di una concezione della vita immaginaria, a provare delusioni e dolori, anche perché molti miei “fratelli” erano morti». «Quando i cancelli si erano chiusi alle mie spalle, addio matrimonio con una ragazza ricca, addio laurea in medicina, addio ad ogni parvenza di vita borghese. Ma quello che per molti miei compagni era un sogno, cioè una vita di agi e successi, allora io lo vivevo come un incubo». Oggi il suo domani è chiuso in pochi metri. Una cella dove inizia il tempo se non del rimpianto, della rivisitazione. «La solitudine un po’ mi pesa», scrive, «ho un fratello e due sorelle che hanno la loro vita e ancora oggi mi mandano del denaro mensilmente. Provvedono alle mie spese legali, ai miei bisogni. Però a colloquio sono anni che non vedo nessuno, tranne i miei avvocati, qualche prete o volontari. In quest’ultimo decennio facevo colloqui solo con mia moglie (la giornalista Donatella Papi, ndr), finito con lei, un anno e mezzo fa, sono rimasto solo, soletto».