Il Messaggero, 17 dicembre 2018
«Ultima Thule, la frontiera mai raggiunta»
Il 2019 segnerà l’avvio della seconda corsa allo spazio. Dopo il recente arrivo di Insight sulla superficie di Marte, oltre alla Cina che entro il mese di gennaio depositerà per la prima volta sulla faccia nascosta della Luna una sonda, denominata Chang’e-4, adesso è la volta dei privati. A contendersi un mercato che secondo le stime del Bureau of Space Commerce supererà in pochi anni il trilione di dollari, oltre agli enti spaziali di Stati Uniti, Russia, India e Cina, saranno SpaceX di Elon Musk, Blue Origin di Jeff Bezos e Richard Branson con Virgin Galactic. Il grosso del mercato è rappresentato all’inizio dallo sviluppo della rete Internet nelle aree del pianeta in cui non è ancora presente, attraverso una miriade di piccoli satelliti ripetitori; ma anche turismo e sfruttamento minerario costituiscono obiettivi sempre più vicini e importanti.
L’OBIETTIVOA rischiare così di rimanere in secondo piano è la conoscenza scientifica in sé, traguardo fondamentale della prima fase della conquista dello spazio, per cui assume un rilievo importante oltre che simbolico, l’incontro ravvicinato previsto proprio per capodanno della sonda New Horizons con la roccia 2014 MU69, denominata suggestivamente Ultima Thule, perché fa parte della Fascia di Kuiper, una regione a forma di disco e che si estende oltre Nettuno, l’ultimo pianeta del Sistema Solare da quando Plutone è stato declassato. 2014 MU69 diventerà il corpo celeste più distante della Terra mai visitato da un satellite: le Colonne d’Ercole, il limite del mondo conosciuto dall’uomo. Ne abbiamo parlato con Silvia Protopapa, una delle responsabili della missione che ha lasciato il nostro pianeta nel 2006.
Che cosa avverrà tra poche settimane?
«All’alba del primo gennaio, New Horizons si avvicinerà a questo corpo che fa parte della Fascia di Kuiper, a sei miliardi e mezzo di chilometri dal Sole, e distante dalla nostra stella quaranta volte più di quanto lo sia la Terra. Anche se è da agosto che raccogliamo con regolarità immagini provenienti dall’Ultima Thule, a partire dal 27 dicembre il team di New Horizons si ritroverà al Laboratorio di fisica applicata della John Hopkins University per analizzare i dati raccolti man mano che saranno ricevuti. Si tratterà d’immagini in bianco e nero e a colori, mappe spettrali infrarosse e ultraviolette e che ci comunicheranno ogni informazione possibile sull’oggetto spaziale, dalla forma alla composizione, a possibili attività. La sonda si avvicinerà tre volte di più di quanto non abbia già fatto con Plutone nel 2015. E sarà la prima volta in assoluto che l’uomo riuscirà a far visita a un oggetto di questa natura».
Da questo incontro, che cosa potremo imparare sulla formazione del sistema solare?
«Poiché gli oggetti della Fascia di Kuiper sono piccoli e si sono conservati nella periferia del sistema solare a temperature bassissime, potrebbero contenere materiali che non si sono mai modificati dal momento della nascita del sistema stesso. E diventare così degli ottimi laboratori per spingere la nostra conoscenza fino alla sua origine, (quattro miliardi e seicento milioni di anni fa, ndr.) e alla successiva evoluzione. Riuscire a conoscere la composizione e lo stato dei suoi materiali può aiutarci a capire la nebulosa solare primordiale e i processi che hanno portato alla formazione dei pianeti. New Horizons offrirà inoltre la possibilità di comprendere meglio l’ambiente chimico, dinamico e geofisico in cui la periferia del Sistema Solare si è prima formata e poi evoluta».
Come si riesce a comunicare con un oggetto così lontano?
«Con antenne molto grandi. Appena i dati sono raccolti a bordo della sonda, vengono trasferiti su un registratore dove sono compressi e trasmessi alla Terra tramite un sistema di radio-telecomunicazione. Per via della distanza, la sfida più complessa consiste nel superare sia la lunghezza di tempo necessario alla trasmissione, che la maggior lentezza di questa. A quella distanza un segnale radio che viaggi alla velocità della luce, impiega sei ore a raggiungerci. E ci vorranno almeno venti mesi per fare il download di tutti i dati raccolti su Ultima Thule».
Qual è il destino di New Horizons una volta finita questa missione?
«Dopo l’incontro con Ultima Thule, proseguirà nella sua esplorazione della Fascia di Kuiper fino al 2021, a caccia di ulteriori immagini di altri oggetti troppo piccoli per essere osservati dai telescopi terrestri dei quali forniranno informazioni sulle proprietà microfisiche».
Quali sono state le altre scoperte importanti di New Horizons nei tredici anni dalla data di lancio?
«Ci ha permesso di rivoluzionare la nostra percezione di Plutone e dei suoi satelliti. Ha rivelato che il mondo criogenico di Plutone è ben più complesso di quanto ci si aspettava, ed è caratterizzato da una diversità molto significativa nella sua composizione. Ciò significa una storia geologica più ricca e in gran parte ancora da capire. Abbiamo scoperto un’atmosfera a più strati, montagne di ghiaccio, vulcani, una calotta glaciale di azoto. Molte domande suscitate proprio da New Horizons devono ancora ottenere risposta. Riguardano il suo campo di gravità, l’esistenza di oceani sotto la superficie, la scoperta di un eventuale campo magnetico. Sarà proprio Plutone, prototipo della Fascia di Kuiper, a costituire la destinazione ideale per dare una risposta a tutte queste domande».