il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2018
Travaglio contro Ferrara
Ce lo domandavamo esattamente da sei mesi, cioè da quando nacque il governo Salvimaio e lui mise su il broncio: quanto resisterà Giuliano Ferrara all’opposizione? La risposta è giunta ieri sul Foglio del rag. Cerasa (per questo ce ne occupiamo: altrimenti non lo saprebbe nessuno), sotto forma di “Lettera d’amore a Matteo”. Che non è più il Matteo di prima, cioè Renzi, a cui Giuliano l’Aprostata ebbe per cinque anni a dedicare un’ampia corrispondenza sentimentale in migliaia di articoli, inni, salmi, peana, ditirambi, gospel e addirittura un libro agiografico dal titolo Il Royal Baby.
No, è l’altro Matteo, quello che comanda attualmente: Salvini. Il Ferrara era solito chiamarlo “il Truce”, detestandolo appena un po’ meno dell’altro dioscuro giallo-verde, Di Maio. E noi, ogni volta che lo faceva, immaginavamo il suo tormento, la sua sofferenza, il suo lancinante conflitto interiore di ritrovarsi per la prima volta in vita sua all’opposizione. Voi direte: ma era nato comunista, all’opposizione almeno da giovane c’era stato. Errore. Allora i comunisti erano gramscianamente egemoni nella cultura (la Dc preferiva occuparsi di banche, anzi occuparle), e infatti il Ferrara prepolitico se la tirava da giovane intellettuale (per via del cane al guinzaglio). Poi Gian Carlo Pajetta decise di lanciarlo, per motivi famigliar-ereditari, nella politica e lo spedì a Torino a farsi le ossa con Diego Novelli, sindaco della giunta rossa subalpina. E Ferrara divenne capogruppo del Pci in Consiglio comunale: cioè al governo.
Da allora voltò mille gabbane e ballò mille valzer, ma sempre dalla parte di chi comandava: craxiano con Craxi, filodipietrista con Mani Pulite, antidipietrista e berlusconiano con B., dalemiano con D’Alema, riberlusconiano col ritorno di B., montiano con Monti (celebre il suo rap alla vaccinara in cui implorava Silvio con uno straziante “Tienimi da conto Monti”), napolitaniano con Napolitano, lettiano con Enrico Letta, renziano con Renzi. Sempre con chi aveva il potere in quel momento, ma solo in quel momento, perché bastava il suo appoggio per segnare la fine prematura dell’appoggiato. Un paio di volte gli capitò di appoggiare pure se stesso, e la cosa gli fu regolarmente fatale: quando si candidò con FI a senatore nel Mugello contro Di Pietro e quando fondò la sua lista Aborto No Grazie, raccogliendo in entrambi i casi percentuali da albumina. Ormai, per indovinare l’esito delle elezioni, non occorre neppure attendere i dati del Viminale, né di consultare sondaggisti o aruspici: basta appurare con chi sta Ferrara per sapere chi perderà.
L’ultimo bacio della morte lo schioccò alla vigilia del 4 marzo, quando annunciò solennemente che avrebbe votato Paolo Gentiloni (Pd) alla Camera e Emma Bonino (+Europa) al Senato. In quel preciso istante i due malcapitati, che malgrado tutto non lo meritavano, si fecero il segno della croce (essendo atei) e capirono di non avere speranze: infatti il Pd toccò il minimo storico del 18% e +Europa, data dai sondaggi e dai giornaloni in grande ascesa, non superò nemmeno l’asticella del 3%. Così lo sterminatore folle, che prima si limitava a fulminare un partito alla volta, ne rase al suolo due in un colpo solo. Ne beneficiarono Di Maio e Salvini, da lui dipinti ogni giorno come due pericolosi baluba da eliminare a ogni costo: anche a quello – scrisse restando serio – di invalidare le elezioni e di ripeterle a oltranza finché non avessero dato il risultato (da lui) sperato. Il che, fra l’altro, era una contraddizione in termini: a memoria d’uomo, l’unico sistema per far vincere chi vuole Ferrara è che lui prenda atto dei propri poteri jettatori e appoggi chi vuole far perdere. Molti si domandano chi siano i tre lettori abituali del Foglio. Beata ingenuità: oltre al rag. Cerasa, sono ovviamente Di Maio e Salvini, che quotidianamente compulsano ogni riga del samiszdat nel terrore di trovarvi una frase, una parola, un segno d’interpunzione a loro favorevole firmato Ferrara. E finora erano ben felici di venirne ricoperti d’insulti, che vista la provenienza sono più efficaci dell’elisir di lunga vita.
Figuratevi la reazione di Salvini ieri quando, senza nemmeno un cenno di preavviso ai congiunti, Ferrara gli ha dedicato la “Lettera d’amore” ispirata nientemeno che a quelle del quarantenne (“i quarant’anni uniscono i personaggi”) François Mitterrand alla giovane amante Anne Pingeot, con perle di affettuosa saggezza come “Posso mancare di buon senso, ma non di lucidità”. Nel dubbio se Ferrara lo faccia apposta per azzopparlo o pensi davvero di giovargli, il Cazzaro si sarà dato una grattatina. Ma l’improvviso amore di Giulianone è condizionato al divorzio da Di Maio e allo scioglimento del “contratto prematrimoniale” col “mucchio dirigente a 5Stelle”. Lui non tollera partouze e vuole Matteo suo, quello nuovo, tutto per sé. Perché solo con lui – gli scrive, riuscendo ancora una volta a restare serio – potrà unire al suo “molto buonsenso” anche “quella lucidità che determina vittorie e visioni di una politica non micragnosa”. Ecco: dopo aver accompagnato alla tomba tutti i suoi spiriti-guida, il più grande fornitore di pompe funebri e officiante di estreme unzioni della storia politica spiega a Salvini come si fa a vincere. Semplice: “La lucidità, se ti riesce di afferrarne il bandolo a spese del buonsenso, dovrebbe consigliarti di anticipare quanto puoi la deriva e lo sbandamento per stipulare un matrimonio serio con un altro nubendo”. Cioè con quel che resta di B.&Renzi per tornare al più presto al voto. Il che, seguendo il Barometro Ferrara che funziona alla rovescia, si traduce così: o Salvini non gli dà retta, e continua la sua ascesa; oppure lo prende sul serio, e allora ha i giorni contati. Poverino, così giovane.