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 2018  dicembre 15 Sabato calendario

Guerra dei Trent’anni, un orrore sconosciuto

Nell’anno che si chiude abbiamo rievocato il centenario della fine della prima guerra mondiale. In quello che si apre, ricorderemo l’ottantesimo anniversario dell’inizio della seconda. Un unico dramma diviso in due, che ha sconvolto l’Europa producendo – tra civili e militari – circa cinquanta milioni di morti. 
La gran parte di queste stragi – dai campi di sterminio ai bombardamenti delle città è stata documentata e vista da tutti, e questo aumenta l’orrore dei numeri. Ma ci fa anche percepire una visione errata della nostra storia, come se gli egoismi imperiali, i nazionalismi esasperati, e le ideologie suprematiste, assistite da una solida organizzazione e da un’avanzata tecnologia, avessero improvvisamente fatto impazzire la più civilizzata parte del mondo. In realtà le cose non stanno così. L’Europa degli Stati nacque dopo un conflitto che cominciò esattamente quattrocento anni fa, nel 1618. 
Anche questo anniversario andrebbe dunque ricordato: perché la Guerra dei Trent’anni flagellò il nostro Continente più di quanto non avrebbero fatto tutti i conflitti nei quattro secoli successivi, compreso quello appena trascorso.
Come per la gran parte delle guerre, le cause furono diverse: la divisione religiosa tra cattolici, luterani e calvinisti; le ambizioni degli aspiranti al trono di Boemia e successivamente a quello imperiale; le velleità espansionistiche dei vari sovrani, e l’invadente dominio spagnolo. La lotta di classe, che Marx ottusamente considerava la madre di tutte le guerre, era del tutto assente. Il popolo, formato essenzialmente da contadini, si limitava a subire i saccheggi dei mercenari.
I RESOCONTI
La guerra ebbe varie fasi e sorti alterne. Noi la consociamo attraverso i resoconti dell’epoca, che servirono a Veronica Wedgwood per scriverne – nel 1938 l’evoluzione in modo esemplare. Il periodo è quello dei Promessi Sposi o, se si preferisce, dei Tre Moschettieri. Tuttavia l’Italia e la Francia ne subirono gli effetti in modo marginale. Le grandi battaglie, e le ancor più grandi distruzioni e carestie, colpirono l’Europa Centrale. Le truppe cattoliche imperiali, comandate da Tilly e da Wallenstein ottennero all’inizio importanti vittorie, con accurati massacri delle guarnigioni conquistate; poi il protestante sovrano svedese, il Leone Gustavo Adolfo riequilibrò le sorti, lasciandoci la vita.

LE TRUPPE
Infine il Cardinale Richelieu, dopo aver imparzialmente sterminato gli ugonotti all’interno e sovvenzionato i calvinisti all’estero fece marciare le sue truppe contro i cattolicissimi nemici, e il duca di Enghien sbaragliò a Rocroi l’esercito spagnolo spianando la strada all’egemonia della Francia e, finalmente, alla pace. Dopo quattro anni di indugi, astuzie e cavilli questa fu firmata a Munster e a Osnabruk, il 24 Ottobre 1648. Il Papa Innocenzo X fu l’unico a non riconoscere il Trattato, che dichiarò «nullo e non valido, maledetto e senza effetto alcuno». Tutti ignorarono la protesta, e il prestigio del Pontefice crollò di conseguenza. Da allora, la sua influenza politica sarebbe stata irrilevante.
L’Europa centrale era stata annientata nella strage delle popolazioni, nella demolizione degli edifici, nel saccheggio delle proprietà, nell’abbandono dei campi, nella diffusione delle malattie e soprattutto nella coscienza morale e religiosa. Il catalogo nero delle nefandezze umane aveva già accumulato crudeltà e perversioni, ma mai in tale quantità e in uno spazio relativamente esiguo. La fame aveva ricondotto le persone alle consuetudini più primitive e brutali: i più vigorosi si accaparrarono quel che restava delle scarse coltivazioni; i più deboli dovettero accontentarsi delle carogne di cani, gatti e topi, e persino di resti umani. In Alsazia furono divorati i corpi di delinquenti impiccati, in Renania fiorì i mercato di cadaveri riesumati, a Zweibrucken una donna confessò di aver mangiato il suo bambino. La popolazione si dimezzò. Dei venti milioni di tedeschi alla fine ne erano rimasti meno di dieci. Fatti i dovuti paragoni, più del quadrupolo delle vittime per la Germania della seconda guerra mondiale. 
Quali lezioni trarre da questa spaventosa carneficina? La prima, e più evidente, è che la nostalgia del passato, «quando c’erano i valori», è una stupida infatuazione infantile. L’umanità cambia nelle abitudini, non negli istinti, e questi ultimi, quando concorrono cause idonee, riemergono inalterati nella loro brutale crudeltà: possiamo star certi che, con o senza la bomba atomica, noi non ci siamo affrancati dal pericolo di ritornare, in casi estremi, al nostro stato ferino. La seconda è che spesso, per non dire sempre, le conseguenze delle decisioni umane sfuggono al controllo di chi la ha adottate. 

L’ATTENTATO
La Guerra dei Trent’anni iniziò per un’ordinaria lotta di successione: nessuno avrebbe potuto immaginare che si sarebbe protratta per tanto tempo e che si sarebbe conclusa in modo così rivoluzionario. Ma questa è una costante. Il liberale Mirabeau produsse il giacobino Robespierre, e quest’ultimo Napoleone. La reazione dell’Austria all’attentato di Sarajevo dissolse tre imperi, e l’avventura di Hitler sostituì l’egemonia britannica con quella americana, controllata da quella sovietica. La pietra lanciata dall’uomo, diceva Schiller, appartiene al diavolo, e neanche noi nel nostro piccolo, sappiamo se il fidanzamento tra Salvini e di Maio ci porterà un solido matrimonio, un furibondo litigio, o una logorante assuefazione. La terza lezione da trarre, è che non esiste catastrofe dalla quale l’Uomo non riesca a sollevarsi. Pochi mesi dopo la pace di Wesfalia, l’Europa aveva già ripreso il suo percorso glorioso. Rembrandt continuava a sfornare capolavori Pascal elaborava i suoi Pensieri, e le scienze naturali, in particolare la medicina, cominciavano a risolvere alcuni enigmi millenari con benefici concreti e duraturi. 

BACH
Di lì a poco, la risorta Germania ci avrebbe donato le Cantate, le Passioni e le Suites di Bach, preparando la strada alla generazione più feconda nella letteratura, nella musica e nella filosofia: mai dai tempi di Pericle, si sarebbe vista una tale concentrazione di geni come Goethe e Wieland, Mozart e Beethoven, Kant e Hegel. Nel frattempo il popolo tedesco si preparava all’unità imperiale coronata a Versailles dopo la disfatta di Napoleone III. L’Europa si avvia alla Belle époque e a un nuovo fratricidio.
Questa girandola di eventi può alimentare il nostro scetticismo, ma anche attenuare la lacrimosa tendenza a rimpiangere il passato con petulante nostalgia. Se l’umanità si è risollevata da simili catastrofi, possiamo confidare o almeno sperare anche in una sollecita e favorevole conclusione nelle trattative con l’Unione Europea, in un ribasso dello spread e persino nella revisione del reddito di cittadinanza.