Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2018
Per il bitcoin è panico da bolla
Era un anno fa, ma per bitcoin sembra un’era geologica fa. Proprio a metà dicembre 2017 la prima e più famosa criptovaluta toccava il picco storico a un passo da 20mila dollari con una capitalizzazione di 329 miliardi di dollari. Negli stessi giorni il Cme aveva inaugurato i futures, fornendo agli investitori il primo strumento ufficiale per giocare al ribasso. In effetti allora era reduce da una corsa esplosa nell’ultimo mese con un balzo del 230%, punto più, punto meno, e una rivalutazione che non ha uguali nella storia finanziaria. C’era chi aveva brindato comprandosi la Lamborghini o case da favola, con il gusto un po’ cafone che caratterizza ogni bolla.
Ma c’è anche chi quel giorno ha perso delle fortune, tenendo anche conto che altre criptovalute hanno perso oltre il 90%. Un anno dopo la criptovaluta langue a un passo da 3.000 dollari, con una capitalizzazione evaporata a 56 miliardi: un crollo verticale dell’85% in un anno che si è accentuato nell’ultimo mese, quando ha dimezzato il suo valore. Tanto da far dire alle cassandre che il progetto è fallito e il bitcoin ormai è morto. A dir la verità ci sono analisti che sottolineano come l’”oro digitale” mantenga fede alle sue promesse: nonostante tutto, si è assestato su valori ben superiori a quelli pre-bolla. Due anni fa, di dollari ne valeva 770, un quarto di oggi. E c’è chi, come l’eclettico criptoinvestitore Tom Lee, che ne indica il fair value «tra 13.800 e 14.800 dollari». Ma sul lungo periodo le cose – sostiene – non potranno che migliorare e la valutazione lieviterà a 150mila dollari.
Gli ottimisti certo non mancano mai, ma intanto la comunità di chi aveva sognato l’indipendenza dal sistema finanziario tradizionale o, più banalmente, era stato travolto dal sogno della ricchezza facile si trova a dover fare i conti con lo sgonfiamento della bolla. Proprio questa settimana la crisi finanziaria ha costretto Etcdev, uno dei maggiori sviluppatori di soluzioni di Ethereum Classic, a chiudere i battenti mentre ConsenSys, startup attiva nel software per il criptomondo, ha annunciato una drastica riorganizzazione. Ma piani di crisi sono stati adottati anche da Sirin Labs, Steemit e SpankChain: nomi che non dicono molto al grande pubblico, ma che avevano illuso di essere i protagonisti di una nuova era. «La pressione sugli asset digitali nel 2018 potrà portare a chiusure e perdite di posti di lavoro tra il 25 e il 50% per i progetti in corso – commenta a Bloomberg Lex Sokolin, responsabile fintech strategy di Autonomus Research -. Ma il ritmo di nuovi soggetti e capitali potrà controbilanciare le perdite e il settore nel suo complesso potrà tornare a crescere».