La Stampa, 15 dicembre 2018
Lo strano caso di Carlos Ghosn, il manager in carcere, moneta di scambio tra Parigi e Tokyo
Il Giappone dovrebbe ringraziare il cielo che il presidente francese Emmanuel Macron sia completamente preso dalla sua crisi politica. Perché se non fosse così preoccupato, l’incriminazione a Tokyo il 10 dicembre di Carlos Ghosn, in parte francese, in parte libanese, in parte brasiliano, presidente dell’azienda automobilistica Renault e della giapponese Nissan, e la sua detenzione in condizioni che violano i valori liberali europei avrebbero sicuramente causato una crisi politica internazionale. Cosa ancora possibile, data l’importante partecipazione azionaria dello Stato francese nella Renault.
Antipatia ricercata
Certo, pochi giapponesi o europei comuni possono provare simpatia umana per il signor Ghosn, un risultato a cui i pubblici ministeri giapponesi hanno lavorato duramente, lasciando filtrare indiscrezioni sui media. L’uomo che 18 anni fa è stato inviato alla Nissan dalla Renault per salvarla dalla bancarotta e che è diventato una sorta di rockstar secondo gli standard commerciali giapponesi, è accusato di aver nascosto i propri sontuosi compensi nei rapporti finanziari della Nissan e di aver trattato le proprietà dell’azienda come se fossero sue.
I dirigenti internazionali lautamente retribuiti non possono aspettarsi molto sostegno pubblico e il signor Ghosn ha sicuramente tenuto troppo a lungo i suoi incarichi, sia in Nissan che in Renault. Lui che una volta sosteneva che i top manager dovevano andarsene dopo cinque anni, ha finito per rimanere oltre tre volte più a lungo, e con il suo uso di jet e appartamenti aziendali, si è esposto all’accusa di comportarsi come un imperatore e non come un dipendente.
Quali che siano i suoi peccati personali, tuttavia, ci sono questioni più importanti in gioco in quello che sembra un thriller aziendale globale. Avendo salvato la Nissan, la Renault detiene una partecipazione del 43,4% nella società giapponese con pieno diritto di voto, mentre la Nissan detiene solo una quota del 15% senza diritto di voto in Renault. Nella stessa alleanza c’è un’altra società giapponese, la Mitsubishi Motors, mentre la russa Avtovaz e la cinese Dongfeng hanno ruoli di minor rilievo.
Tre anni fa, quando era ministro dell’Economia, Macron aumentò temporaneamente la partecipazione del governo in Renault, il che contribuì a spostare l’ago della bilancia decisamente a favore della Francia, causando preoccupazione in Giappone. Prima del suo arresto, il 19 novembre, Ghosn aveva insistito affinché le partecipazioni a incastro si trasformassero in una fusione completa tra Renault, Nissan e Mitsubishi, con i francesi saldamente al volante.
Sembra che sia stata quest’ambizione a spingere i dirigenti di Nissan a passare informazioni ai pubblici ministeri di Tokyo in merito a salari e abusi di potere. Lo scopo: assicurarsi l’arresto e la probabile caduta di Ghosn. Eppure la Nissan e i suoi dirigenti non possono sfuggire alla colpa e alla potenziale punizione per il loro ruolo in quei reati: il signor Ghosn non può aver stilato rapporti finanziari falsi o fuorvianti senza che l’amministratore delegato giapponese di Nissan, Hiroto Saikawa, ne venisse a conoscenza o addirittura ne fosse complice.
A Buenos Aires, al vertice del G20 del 30 novembre, il presidente Macron e il primo ministro giapponese Shinzo Abe hanno avuto, così è stato riferito, un breve e brusco scambio di parole sull’arresto di Ghosn e sull’alleanza Renault-Nissan. Abe ha cercato di prendere le distanze, mentre Macron ha cercato di chiarire che si aspettava di mantenere il ruolo forte della Renault nell’alleanza.
Sembra plausibile che Ghosn possa diventare la moneta di scambio tra la Francia, il Giappone e le aziende coinvolte. Ogni giorno porta nuova e sgradevole attenzione internazionale sul sistema giudiziario giapponese. Dal suo arresto, tre settimane fa, Ghosn è detenuto in isolamento, e ai suoi avvocati non è permesso partecipare alle frequenti sessioni di interrogatorio dei pubblici ministeri. Con l’incriminazione e l’annuncio di una nuova indagine correlata sulle violazioni salariali, la detenzione di Ghosn ora potrà essere prolungata di almeno di un mese.
I pubblici ministeri giapponesi sono rinomati, o famigerati, a seconda del punto di vista, perché ottengono una condanna in oltre il 99% delle cause penali, soprattutto grazie alle confessioni durante gli interrogatori. Considerando l’isolamento, l’accesso limitato degli avvocati ai loro assistiti e i lunghi periodi di detenzione senza processo, il dato non è molto sorprendente.
L’icona colpita
Certo, il signor Ghosn è un tipo molto più tosto della media e può permettersi i migliori avvocati. Se la sua attenzione non fosse distratta dai gilet gialli probabilmente potrebbe contare anche sul forte sostegno del presidente francese. Ma questo potrebbe benissimo ancora accadere, dato che la Renault è un marchio iconico dell’economia francese. E più si accendono i riflettori sul sistema giudiziario giapponese, più dubbia risulterà l’affermazione del primo ministro Abe secondo cui il Giappone può essere un faro del liberalismo in un mondo sempre più autoritario.
Quindi bisogna trovare un accordo, con la liberazione di Ghosn, magari dopo aver pagato solo una multa invece di subire una condanna in carcere, e con un nuovo patto franco-giapponese sull’alleanza che è attualmente il maggior produttore mondiale di automobili e altri veicoli. Ma questa vicenda, piena di accuse di imbrogli di ogni genere, difficilmente incoraggerà altri matrimoni industriali tra Europa e Giappone. E questo potrebbe essere un male, per entrambe le parti.
(Traduzione di Carla Reschia)