Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 15 Sabato calendario

La storia del professor Aldo Schiavone

Solo adesso il pubblico può essere messo a parte di una tipica storia italiana – in sé e per sé non proprio rilevantissima, forse, ma certo assai significativa – che parla delle conseguenze cui spesso va incontro chi in Italia tenta di avviare qualcosa di nuovo, di realizzare un progetto che risulti utile e faccia fare un passo avanti al Paese.
È una storia che parla, infatti, del fallimento a che nove volte su dieci conclude il tentativo suddetto grazie all’opera di un micidiale «combinato disposto» che da decenni ci tiene immobilizzati condannandoci perciò a un immancab ile declino. 
Ho detto che di questa storia si può parlare solo adesso perché solo l’altro giorno la Corte d’Appello di Firenze, su richiesta conforme della Procura Generale (un particolare non irrilevante), ha prosciolto da ogni accusa «perché il fatto non sussiste» il professor Aldo Schiavone – un famoso storico dell’antichità, autore di opere scientifiche tradotte in mezzo mondo – che circa una ventina d’anni fa ebbe la sventura di farsi venire una buona idea. 
La buona idea era questa: costituire con sede a Firenze e a Napoli (per sottolinearne il carattere nazionale) un centro universitario di alta specializzazione in discipline umanistiche destinato unicamente a corsi di dottorato di ricerca (con accesso per concorso e borsa di studio come per legge, ma prevedendo in più il rimborso delle spese di alloggio degli studenti per favorirne la permanenza in loco). Un centro – Istituto italiano di Scienze Umane, in breve Sum: questo il nome prescelto – dotato di una sua totale autonomia come qualunque altra istituzione universitaria, e dunque con un proprio corpo di docenti (ne ho fatto parte: spero mi sia perdonato l’implicito conflitto d’interessi), ma costituito con il concorso di più Atenei ognuno dei quali avrebbe potuto per così dir prestare al Sum i suoi professori. 
All’idea – approvata e finanziata dal ministro Moratti, caldeggiata dalle due municipalità di Firenze e Napoli che misero a disposizione entrambe due sedi prestigiose con il relativo arredo, sostenuta da alcune prestigiose sedi universitarie come Bologna, la Sapienza, la Federico II, Pavia, e da docenti di vaglia come Umberto Eco e Massimo Cacciari, per citarne solo un paio – arrise una rapida fortuna. Come testimonia oltre il successo dei corsi l’avvio di una serie di iniziative di rilievo: istituzione di borse postdottorali per soggiorni di studio all’estero; la costituzione di una rete di docenti italiani di discipline umanistiche negli Stati Uniti e in Australia con il coinvolgimento di alcuni Dipartimenti universitari americani e la messa in cantiere di comuni occasioni d’incontro, infine l’istituzione di un dottorato di ricerca europeo in collaborazione con tre delle massime istituzioni universitarie del continente: l’Ecole des Hautes Etudes di Parigi, la berlinese Humboldt-Universität, la Central European University di Budapest.
Decisamente troppo bello, però, per durare a lungo. E infatti ecco che puntuale si mette in moto contro il Sum il «combinato disposto» italico del «non si può». Innanzi tutto la miscela di diffidenza, invidia, malumore gelosia dell’ambiente accademico nazionale: «Ma che si sono messi in testa questi/questo?», «Che cosa vogliono?», «E noi allora? siamo forse di serie B?». Una miscela destinata a combinarsi con gli ulteriori veleni di certi ambienti fiorentino-pisani, distillati dalle gelosie di sedi universitarie concorrenti e dai sospetti nutriti da notabilati locali avvezzi da sempre a occupare tutti gli spazi in nome di un vasto e più o meno occulto potere. 
A dar man forte giunge a questo punto la politica, padrona dei cordoni della borsa. In qualunque altro Paese o quasi un’iniziativa come quella che sto descrivendo sarebbe stata considerata benemerita dall’autorità di governo. Non in Italia: dove, come si sa, quando si parla di politica – che si tratti di quella al potere o di quella all’opposizione —, si può sempre contare sull’insipienza accompagnata dalla faziosità. Si dà il caso che al ministero dell’Istruzione siede ora Fabio Mussi che come si ricorderà è di sinistra, e già per questo non può certo vedere di buon occhio un’istituzione che oltre a dispiacere a tanti professori a lui vicini è stata tenuta a battesimo da quella nazi-fascista della signora Moratti. Mussi poi non è di sinistra, è molto di sinistra. E quindi, perbacco, non può che essere nemico dell’«eccellenza». Al ministro piacerebbe che regnasse dovunque l’eguaglianza, che non ci fossero antipatiche gerarchie, che tutte le sedi universitarie fossero «eccellenti». Non potendo però, ahimè, esserlo tutte, allora decide che è meglio che non lo sia nessuna. Al Sum di conseguenza vengono negati i fondi necessari.
Secondo il più tipico copione italiano il colpo definitivo viene assestato dall’iniziativa di un pugno di magistrati: che, si badi, è cosa diversa dal dire dalla magistratura – cui come ho detto all’inizio va anzi riconosciuto il merito di aver fatto scoppiare il tutto come una bolla di sapone. Sono magistrati di Firenze, forse addirittura uno solo, chissà, ma di certo assai sensibili o sensibile all’ambiente cittadino, alle voci, alle denunce a mezza bocca – del resto non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale?; e così dunque parte l’indagine sulle malefatte che si anniderebbero al vertice del Sum. È un’indagine in grande stile: perquisizioni, intercettazioni telefoniche, microfoni disseminati dovunque, interrogatori stringenti del personale amministrativo, minacciose convocazioni notturne nelle caserme della Finanza. E alla fine il rinvio a giudizio per il rettore dell’Istituto, Aldo Schiavone, sotto una sfilza di accuse infamanti: peculato, abuso in atti d’ufficio, divulgazione di segreti d’ufficio e chi più ne ha più ne metta.
Segue l’abituale linciaggio mediatico, lo sputtanamento, l’interminabile calvario giudiziario. L’altro giorno infine – ripeto: su richiesta della stessa Procura – il proscioglimento definitivo «perché il fatto non sussiste». Sì, era tutto un castello d’accuse campate in aria. E l’Istituto italiano di Scienze Umane nel frattempo? Ah beh, quello ormai ha chiuso i battenti da anni, e chi s’è visto s’è visto.