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 2018  dicembre 15 Sabato calendario

Intervista ad Armando Spataro sul caso Battisti

«La mancata estradizione di Cesare Battisti è un’offesa per la nostra democrazia e per le persone che ha ucciso e fatto uccidere». Armando Spataro si occupa di questa vicenda da quasi 40 anni, da quando nel 1979 guidò le perquisizioni nel covo milanese dei Proletari Armati per il Comunismo di via Castelfidardo. Torna a parlarne nell’ultimo giorno di servizio in magistratura, subito prima di lasciare la toga e la guida della procura di Torino: un finale di carriera che lo ha visto impegnato in un duro confronto con il ministro degli Interni Matteo Salvini sulla gestione delle indagini e sulla chiusura agli immigrati.
Lei di fronte alle campagne di solidarietà all’estero nei confronti di Battisti ha compiuto un gesto senza precedenti per un magistrato: ha scritto una lettera aperta a Le Monde.
«Nel novembre 2004 la scrittrice Fred Vargas aveva pubblicato su “Le Monde” un appello, con l’adesione di personaggi del calibro di Daniel Pennac, Bernard Henry-Lèvi, Bernard Kouchner: un testo carico di falsità sulla vicenda processuale di Battisti e sugli anni di piombo in Italia. Quel documento esprimeva il pensiero di una vera e propria lobby che riteneva la condanna frutto dell’appiattimento della magistratura sulle logiche emergenziali di quel momento. Ho sentito il dovere di rispondere con i fatti, per ricordare chi è Battisti: un assassino della peggiore specie. È stato condannato come esecutore materiale dell’omicidio del maresciallo Santoro e dell’agente Campagna, nell’uccisione di Luigi Sabbadin ha fatto da palo e in quella di Pierluigi Torreggiani è stato riconosciuto tra i mandanti. Persino la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha bocciato le istanze di Battisti ma mi sono reso conto che non c’è nulla che possa smuovere certi pseudointellettuali dalle loro convinzioni».
Lei ha seguito le indagini sulla formazione terroristica di cui faceva parte Battisti sin dal giugno 1979.
«Siamo partiti dalla scoperta del covo milanese di via Castelfidardo, dove Battisti venne arrestato. Poi c’è stata la collaborazione di alcuni dei membri del Pac, i Proletari armati per il comunismo, che hanno permesso di ricostruire le attività della banda armata. Ma le sentenze contro Battisti non si basano solo sulle parole dei pentiti: ci sono state testimonianze e riscontri oggettivi. Certo, lui non era presente ai processi: era evaso e fuggito in Francia. Cosa che poi ha fatto anche a Parigi, scappando in Brasile alla vigilia dell’estradizione».
Anche adesso in Brasile Battisti risulta irreperibile. E pure nel Paese sudamericano c’è stata una mobilitazione di esponenti del mondo della cultura, che ha trovato ascolto prima dalla presidenza di Luiz Inácio Lula e poi da quella di Dilma Roussef.
«Sì. Nel 2009 il ministro della Giustizia brasiliano gli ha concesso l’asilo politico, ritenendo che in Italia poteva venire perseguitato per le sue idee politiche: un oltraggio alla nostra democrazia. Anche in quell’occasione ho scritto a uno dei principali quotidiani brasiliani perché tutti potessero rendersi conto di chi veramente era Battisti, spiegando la correttezza dei procedimenti. E la corte suprema ha poi sconfessato la posizione del ministro, concedendo l’estradizione che è stata però fermata dalla presidenza».
Lei ritiene che i governi italiani nel corso degli anni abbiamo fatto abbastanza?
«Io sono stato sempre critico nei confronti dell’impegno dei governi nel perseguire i latitanti degli anni di piombo, che spesso è apparso più motivato da calcoli propagandistici che non dal senso di giustizia. In altre occasioni c’è stato un atteggiamento passivo: ad esempio quando proprio nel 2009 il presidente francese di centrodestra Sarkozy negò l’estradizione di una brigatista, il governo Berlusconi ugualmente di centrodestra non manifestò alcun disappunto, neppure minimo. Invece per la protezione a Battisti il governo Berlusconi ha protestato con fermezza nei riguardi del Brasile di Lula, notoriamente di sinistra. Alcuni ministri arrivarono persino a chiedere l’annullamento dell’amichevole di calcio tra le due nazionali».
Anche l’ultimo governo di centrosinistra ha fatto molto per l’estradizione: il Guardasigilli Orlando era convinto che fosse a portata di mano. Cosa è cambiato adesso? Ci sono dei meriti del nuovo esecutivo?
«Da quello che leggo, il cambiamento di presidenza in Brasile ha posto fine alla lunga stagione cominciata con Lula. E io non posso che cogliere positivamente qualunque passo che porti Battisti a scontare la pena. Ma preferisco essere cauto: tante volte è sembrato che fosse vicino il momento dell’estradizione».
Lei rinuncerà mai alla giustizia per le vittime del terrorismo?
«Non ho mai pensato che giustizia equivalga a vendetta: è il luogo di affermazione delle regole dello Stato di diritto. E chi le viola, tanto più se si tratta di un assassino, deve pagare. Il 16 febbraio 2009 ho partecipato a Padova alla commemorazione per la morte di Lino Sabbadin, un macellaio che trenta anni prima era stato assassinato per ritorsione da un commando del Pac con la partecipazione di Battisti. Ero lì con il figlio di Sabbadin e con quelli di altre vittime del terrorismo. Se l’anno prossimo verranno ricordati i quarant’anni da quell’esecuzione, io ci sarò. Perché sono convinto che non sarà mai possibile dimenticare nulla».