Corriere della Sera, 15 dicembre 2018
Il tunnel del calcio italiano è ancora molto lungo
Quello che è successo nell’ultimo turno di Coppe non è molto distante dalla eliminazione con la Svezia di un anno fa. A suo modo è anche più serio perché quella eliminò dal mondo il calcio strettamente italiano, i giocatori italiani sopravvissuti all’invadenza straniera. Questa ha fermato un intero movimento, tutti compresi. Vedendo la Juve, vedendo tratti di Napoli e Inter, vedendo l’ultima Italia di Mancini, veniva da pensare che il tunnel fosse finito. Non è stato così. Ha deluso anche la Juve. La grande squadra non dipende dalle motivazioni, gioca meglio e batte i piccoli avversari, altrimenti manca qualcosa. La differenza tra il nostro calcio e la Champions viene proprio dalla Juve: 14 vittorie e un pareggio in Italia. Due sconfitte in 6 partite in Europa. Si può tentare una spiegazione comune? È tornato avanti il calcio inglese, in difficoltà negli ultimi anni. Questo ha tolto un po’ di spazio a tutti. Il tratto principale, quello dove mi sembra siano mancate le squadre italiane, è stato però quello fisico. In Europa si corre e si colpisce di più. Questo porta continuamente più giocatori in area, favorisce gli anticipi. Il Napoli è stata la squadra migliore di questo turno, ha un suo livello europeo certo, ma è stata schiacciata dagli inglesi nel recupero del pallone. Non passavano mai più di due metri tra la palla persa e il suo ritorno. Mancano soprattutto agli italiani forti riferimenti tattici. Si sono esaurite tutte le scuole, da quella difensiva al tiki taka; quella olandese è in difficoltà perché ormai si corre molto di più, difficile reggere. E mancano i giocatori che sappiano risolvere da soli. Siamo tornati a un gioco proposto più che attuato, una specie di confusione isolata in cui si vive di sorprese. Io credo sia cambiata anche la mente dei giocatori, ma qui si va nel fine. Questa generazione pensa e vive, anche il calcio, per la prima volta in modo molto diverso da chi l’allena. È la prima generazione degli smartphone. Quando il web tolse confini e regalò tutto, comprese idee diverse, Spalletti e Ancelotti avevano già 40 anni. I loro ragazzi 10. La differenza oggi si vede dovunque. Forse è l’ora di guardarla anche nel calcio.