La Stampa, 14 dicembre 2018
Come si diventa Pynchon
Una metropoli tentacolare, quale Mexico City era già negli Anni 60, poteva sembrare il posto giusto per scrivere un labirintico romanzo d’esordio. Marijuana a buon prezzo, esotismo urbano, le orme lasciate dai poeti beat. Confusione di strade. Soprattutto, pochi scocciatori. Eppure il venticinquenne Thomas Pynchon fatica a trovare il ritmo sulla pagina. «Tutto quello che riesco a fare è sedere sul mio culo inerte cercando di scrivere, ed è una lotta, come puoi intuire dal tono raffinato e molto letterario di questa lettera» racconta il futuro autore dell’Arcobaleno della gravità all’amico Pete Delaurenti, suo ex compagno di stanza a Seattle. La lettera, inedita, è del dicembre 1962: il giovane Pynchon non è ancora famoso, ma lo diventerà a breve proprio grazie ai sudori messicani che produrranno V., il primo libro, pubblicato nel ’63; la celebrità, o più esattamente l’avversione alla celebrità, lo trasformerà nello scrittore più sfuggente e ossessivamente ricercato d’America.
Echi di Kerouac e Ginsberg
«Sono rinchiuso in un appartamento delle dimensioni di un armadietto da palestra, sistemato all’incrocio delle tre strade più rumorose della capitale; come ho detto a Joan [probabilmente la cantante folk Joan Baez, sorella maggiore di Mimi che l’anno successivo alla lettera sposa Richard Farina, amico fraterno di Thomas, ndr], è come vivere con la colonna sonora di un film di John Wayne. Il posto costa troppo (anche se ogni cosa al momento pare essere troppo) e quello che vorrei è spostarmi in qualche zona più genuina del genere di Guanajito o Vera Cruz, dove, secondo il comune folklore, la vita è meno cara».
Lamenti a parte, più l’accenno all’autoreclusione, l’umore e lo humour di Pynchon appaiono in forma. Come lo è la prosa che sta mettendo a punto per V., uno stile che si distacca dal be-bop di Kerouac e Ginsberg, anche se si possono sentirne gli echi, come pure dalle ironie cool di moderno picaro dell’Augie March di Bellow. «Gli incoraggiamenti erano arrivati da direzioni diverse - Kerouac e gli scrittori beat, la dizione di Saul Bellow nelle Avventure di Augie March, voci emergenti come quelle di Herbert Gold e Philip Roth - e ormai si vedeva come due diversi tipi di lingua inglese potessero coesistere nella narrativa. […] Allora era davvero ok scrivere in quella maniera! Chi poteva dirlo? L’effetto fu liberatorio, eccitante, fortemente positivo» spiegherà Pynchon nell’introduzione alla raccolta di racconti Slow learner, uno dei rari spiragli aperti, insieme con le poche lettere disponibili, sul suo processo creativo e i modelli letterari.
La missiva a Delaurenti, sul classico foglio quadrettato favorito dallo scrittore, viene battuta da Sotheby’s, insieme a una cartolina datata un mese prima, in un’asta online che si concluderà il 17 dicembre (con una stima tra i 9 e i 13 mila euro). Si può dubitare che Pynchon, oggi ottantunenne, ne sarà felice. Una delle tante leggende che lo riguardano parla di come saltò giù dalla finestra del suo appartamento messicano per sfuggire a un reporter e a un fotografo inviati da Time Magazine. Quindi prese un autobus per le montagne. Da allora, Pynchon ha conteso a J. D. Salinger il podio di scrittore in fuga dalle attenzioni del pubblico.
Le ultime foto in posa risalgono alla fine degli Anni 50. Nel 1964 s’infuriò per un articolo dell’Herald Tribune che gli aveva suscitato istinti «omicidi», secondo una lettera inviata alla sua agente Candida Donadio. La stessa Donadio venne scomunicata per aver venduto a un collezionista la loro corrispondenza ventennale (oggi alla Morgan Library di New York). Nel 1996, il New York Magazine scoprì il quartiere di Manhattan dove lo scrittore viveva e raccontò il suo tran tran quotidiano: anonimato in piena luce, secondo la lezione della Lettera rubata di Poe, in cui il nascondiglio migliore è quello in bella vista.
La segretezza di Pynchon e alcuni suoi exploit, dalla voce prestata ai cartoni dei Simpson alle apparizioni nel backstage di concerti rock, hanno alimentato il mito. Gli sono state attribuite le lettere di una homeless a un giornale di provincia - poi raccolte in un libro - come il romanzo Cow Country, pubblicato sotto il nom de plume di Adrian Jones Pearson, poco «pynchonesque», in effetti, rispetto ai nomi che è riuscito a inventare per i suoi personaggi, come Pig Bodine e Bongo Shaftesbury.
La «banda dei morbosi»
Delaurenti, il destinatario della lettera in vendita, forse è uno dei modelli per i componenti della «banda dei morbosi», gruppo di bohémien newyorkesi che vagano sul lato bizzarro della vita, e compaiono nel primo romanzo. «O sì uomo… hai bisogno di fumo, posso averne a prezzi all’ingrosso, a meno che tu non sia già andato a Key West a dare ai ragazzi un po’ di musica da viaggio» scherza nella cartolina riguardo la disponibilità di marijuana a Città del Messico. In realtà, nel cubicolo messicano ha già i suoi strumenti creativi pronti e affilati. Ha lasciato l’impiego di scrittore tecnico alla Boeing a Seattle, ha la pubblicazione di qualche racconto e una miniera di aneddoti di vita nella Marina militare in cui è stato arruolato per due anni, oltre agli studi al college, nel suo bagaglio.
In una lettera dell’aprile dello stesso anno al suo editor, Corlies «Cork» Smith - in una raccolta pubblicata in modo semiprivato e ovviamente non autorizzata -, discute sui possibili titoli di V.: «No, dannazione, non voglio chiamarlo il Mondo in palmo di mano, neppure se è un titolo provvisorio». Il mix di ironia e entropia che caratterizzeranno la sua produzione letteraria si avvertono nella lettera messicana, derivati in parte dalla crisi dei missili a Cuba: «Sono passato attraverso San Francisco con l’intenzione […] di vederti ma Kennedy ha iniziato il suo discorso su Cuba quando il bus ha lasciato Redding e una volta entrato a S.F. ho ritenuto che le autorità consapevoli avessero serrato il posto più stretto della passera di una ragazza di Bennington [cittadina universitaria del Vermont, ndr] e da quel momento non potevo far altro che sedermi e bere».
Per un contrappasso d’ironia, uno dei romanzi più noti di Pynchon, L’incanto del lotto 49, ruota intorno a una vendita all’asta che ha luogo a Los Angeles e che nasconderebbe un complotto. In questa lettera ne abbiamo un lontano, fulminante assaggio: «Quando sarò Dio e mi deciderò a ridecorare l’inferno, prenderò come modello Main Street, L.A., la domenica pomeriggio».