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 2018  dicembre 14 Venerdì calendario

Il metodo Trump con la Cina

Questa settimana sono accaduti due eventi molto importanti per il commercio internazionale: la tregua Usa-Cina e la ratifica da parte del Parlamento europeo del Trattato Ue-Giappone.
Quest’ultimo è il patto più rilevante mai firmato dall’Unione europea e prevede l’eliminazione di dazi e barriere non tariffarie (ad esempio regolamentazioni tecniche) sul 99% dei prodotti. Si apre il mercato dei servizi, anche finanziari, si coordina la privacy e vengono armonizzati molti standard, ivi compresi quelli ecologici e sui diritti dei lavoratori.
Inoltre si introduce anche un divieto di sovvenzioni pubbliche distorsive e si aprono gli appalti pubblici. È ovvio che gli aiuti di Stato falsano il commercio internazionale: se il mio governo sussidia la produzione o concede generosi prestiti, mi è più semplice esportare le merci a prezzi più bassi battendo la concorrenza locale. Il mancato accesso alle gare pubbliche per le imprese straniere costituisce poi un rilevante ostacolo allo scambio di beni e servizi. Senza contare quanto tali storture corrompano il sistema politico a causa dell’azione incessante di lobby e interessi particolari.
Tra Cina e Stati Uniti, dopo la raffica di tariffe imposte dall’amministrazione Trump, il governo di Pechino sta allentando la tensione e ha riportato dal 40% al 15% i dazi sulle auto americane. Oltre a ciò, ha promesso di modificare l’ambizioso programma Made in China 2025, creato dal governo per facilitare il salto di qualità all’industria cinese nei settori ad alta tecnologia. Per raggiungere l’obiettivo sono previsti grandi investimenti statali, sussidi e requisiti stringenti di cessione di tecnologia per le aziende occidentali che vogliano costituire joint-venture in Cina. Naturalmente una tale strategia preoccupa Washington, che vede minacciata la superiorità tecnologica da aiuti di Stato che l’economia americana non riceve.
Il quesito è: meglio l’approccio di Trump o quello europeo? Il dilemma che si pone nei confronti della Cina è lo stesso paradosso del filosofo Karl Popper, che predicava la tolleranza salvo nei confronti degli intolleranti i quali, se lasciati agire, possono distruggere le democrazie liberali. Qui il dilemma è il medesimo: può il libero mercato sopportare che dei suoi effetti positivi godano le imprese che di mercato non sono? La risposta è difficile, perché il commercio internazionale beneficia comunque il Paese importatore che può acquistare beni (seppur sussidiati) a prezzi più bassi e quindi investire i soldi risparmiati nelle produzioni dove ha un vantaggio competitivo.
In ogni caso, il metodo Donald ha il difetto che si basa su rapporti di mera forza che nel momento in cui cambiano ti si ritorcono contro. Oggi Pechino abbozza, domani chissà. Inoltre, gli accordi come quelli nippo-europeo o il Ceta con il Canada, consentono di comprendere molte materie e di essere negoziati con la dovuta pazienza in modo tale che non ci siano né vincitori né vinti. 
Considerazione finale: chi ha raggiunto nel modo più completo, senza bisogno di intimidazioni o negoziati minuziosi e defatiganti, gli obiettivi di accesso libero alle commesse di ciascun Paese, divieto di sussidi pubblici, possibilità di acquistare servizi sofisticati e abolizione di dazi e barriere non tariffarie, grazie ad un chiaro trattato e all’azione di pochi giudici di sede a Lussemburgo? La nostra tanto vituperata Unione europea. Pensiamoci.