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 2018  dicembre 14 Venerdì calendario

Tutti gli errori storici degli agenti segreti

Mai fidarsi troppo degli 007, perché sono esperti nel doppio gioco e nell’arte raffinata della disinformazione. I più scaltri riescono a immedesimarsi nella mentalità dei loro nemici addestrandosi a pensare e agire come loro, con una tale abilità da riuscire a ribaltare il corso della storia. Anche quando prendono cantonate colossali. Con una sottile ironia, Mirko Molteni, storico collaboratore di Libero, nel suo Storia dei servizi segreti. La verità su chi governa veramente il mondo, (Newton Compton, 828 pagine, euro 12,90), ripercorre i lati più in ombra dei giochi di potere, dove gli epic fail sono una costante. Perfino per i più fortunati come Napoleone Bonaparte, che senza saperlo aveva rischiato grosso due volte in Egitto. Era sbarcato ad Alessandria il 1° luglio 1798, indisturbato soltanto perché la flotta dell’ammiraglio Horace Nelson se n’era andata poche ore prima, andando a cercare i francesi nel Mar Egeo. Fu un tragico errore di valutazione per l’impero di Sua Maestà. Le spie disseminate dalla Corona inglese da Livorno alla Sicilia si erano semplicemente sbagliate, lasciando credere che il Còrso fosse diretto in Turchia o addirittura verso il Mar Nero. Invece l’Imperatore francese se la stava spassando a bordo di una nave da guerra con Pauline, la moglie di un suo ufficiale, Jean-Noël Fourès. Ma stavolta una spia inglese, John Barnett, trova il modo di organizzare il tirannicidio. La manovra è complicata e si innesca quando Napoleone decide di inviare Fourès a Parigi per non fargli scoprire la tresca. Durante il viaggio, gli inglesi lo catturano e, svelandogli il tradimento coniugale, lo assoldano per uccidere Bonaparte. L’ufficiale tuttavia non se la sente e torna in Francia, tanto più che la moglie chiede il divorzio.

INGANNI E DIVERSIVI In fatto di inganni e diversivi, gli italiani non hanno nulla da invidiare ai colleghi degli imperi, soprattutto quando decidono di costruirne uno proprio, conquistandosi un posto al sole in Africa Orientale. Inglesi, francesi e perfino gli alleati tedeschi si mettono di traverso, appoggiando gli abissini? Ci pensano le strutture di controspionaggio di alpini e carabinieri. Intercettano i carichi di armi destinati alle tribù del Negus (e pagati grazie a un credito concesso dalla Germania hitleriana) in modo apparentemente semplice: fanno un’offerta economica migliore al fornitore belga e si accaparrano così un arsenale che consentirà a Mussolini di conquistare la colonia di Addis Abeba nel 1936. I maggiori successi della rete di informatori del fascismo, che si estendeva ormai a tutto il Mediterraneo sul modello già sperimentato dalla Repubblica di Venezia, furono in realtà ottenuti dagli specialisti nel campo della disinformazione, che riuscirono a intimorire gli inglesi convincendoli dell’esistenza di aerei tricolori con piloti kamikaze e fantomatici velivoli supersonici in grado di bombardare Londra senza essere avvistati. Anche se negli hangar della Regia Aeronautica non c’era nulla di simile, le trasvolate transoceaniche di Italo Balbo avevano ottenuto il loro effetto, non solo propagandistico. E, in ogni caso, il Duce non scherzava: aveva già fatto predisporre dallo Stato Maggiore, facendolo spifferare alla stampa, piani di attacco contro il Sudan, il Kenya e la Somalia, allora possedimenti britannici. Gli avvelenamenti e le barbe finte non sono affatto finiti fuori moda nemmeno ora che, nell’epoca delle tecnologie informatiche, gli Stati e le aziende puntano sul cyberspionaggio per sottrarre conoscenze preziose ai rivali. il fattore umano Il blocco recente degli smartphone cinesi Huawei e Zte negli Stati Uniti e in altri Paesi quali l’Australia e la Nuova Zelanda, per il sospetto che possano trasferire automaticamente informazioni a Pechino, porta alla luce uno dei fronti aperti di una guerra industriale e commerciale fra potenze che si contendono il primato nel settore delle telecomunicazioni. Di per sé, comunque, nessun dispositivo possiede le risorse necessarie a competere con il fattore umano. La macchina controlla, registra, offre la possibilità di interagire, ma non è ancora in grado di prendere decisioni o dare giudizi, almeno non fino all’avvento del regno dei robot, scenario di cui per ora si occupano solo i ricercatori più visionari. La risorsa indispensabile si rivela l’intelligenza. Anzi, l’intelligence, cioè l’analisi. Perché si può anche disporre di miliardi di dati, ma se non se ne sa ricavare una sintesi non servono a nulla. Resta quindi indispensabile il ruolo centrale del fattore umano in tutte le evoluzioni delle relazioni internazionali. Con il solo ausilio dei droni e delle intercettazioni, infatti, gli Stati Uniti non avrebbero mai catturato e ucciso Osama Bin Laden, scovato in Pakistan nel 2011 – ben dieci anni dopo gli attacchi alla Torri Gemelle di New York – soltanto grazie alla delazione di un medico locale. Del resto, non risulta nemmeno che siano stati eliminati il Califfo dello Stato islamico Omar Al Bagdadi o il mullah Omar. Infiltrare l’esercito della jihad per carpirne i progetti non si è rivelato così facile per gli occidentali. Mentre la penetrazione e l’influenza islamica in Europa e in America hanno consentito di creare avamposti che un giorno si riveleranno utili per scatenare la guerra santa nelle case degli infedeli.