La Stampa, 14 dicembre 2018
La Consob senza presidente
Era il 13 dicembre, ieri. Per il calendario, il giorno di Santa Lucia – la patrona di ciechi e oculisti. Per l’Italia, quello in cui ricorreva il terzo mesiversario della Consob decapitata. Il presidente in carica sino al 13 settembre, Mario Nava, è stato spinto dalla maggioranza ad abdicare dall’istituzione che vigila sui mercati mobiliari. Dopo settimane di violenti attacchi politici ha dichiarato che non esistevano le condizioni per lavorare come avrebbe voluto. Nel campo gialloverde hanno festeggiato il «servo dei poteri finanziari» che capitolava. Passata la sbornia, non sono però riusciti a riporre la tempesta nel barattolo.
Sinora, nella gestione delle nomine pubbliche, la squadra legogrillina non ha preso prigionieri. Con la Consob, però, sono inciampati: hanno fatto fuori un presidente senza che il successore fosse pronto. Si, certo, un nome i pentastellati l’avevano, tuttavia era chiaro ai più che non godesse del gradimento dei leghisti, per non parlare del Quirinale. Niente da fare, come er inevitabile.
Ora la maggioranza non ha un candidato sicuro. Gli addetti ai lavori dicono che l’ordinaria amministrazione va, eppure lamentano la mancanza di un ruolo pubblico e strategico della Consob. Alcuni osservatori sostengono che il governo abbia altro a cui pensare, altri giurano che una Consob paralizzata è un vincolo di meno su operazioni di «cambiamento» nell’economia di stato, da Mps ad Alitalia. In realtà la paralisi è un brutto segnale per gli investitori, così la scelta deve essere rapida. Serve un presidente autorevole ed efficiente, magari indipendente. Con una possibile crisi alle porte non c’è tempo da sprecare. E nemmeno una Consob da perdere dandola a un mezzo leader teleguidato.