La Stampa, 13 dicembre 2018
Sorpresa, Berlusconi è tornato Cavaliere
D’improvviso, sabato scorso, Berlusconi si è ripreso il suo appellativo più celebre: «Leggo tante bugie sul fatto che io sia un ex Cavaliere... Non è vero, non sono affatto un ex». Queste le sue testuali parole. Ma davvero il titolo gli è rimasto appuntato al petto nonostante la condanna definitiva del 2013 per frode fiscale? E non si era egli stesso auto-sospeso, un attimo prima di venire espulso dai probiviri della Federazione nazionale Cavalieri del lavoro? Chi si intende di onorificenze segnala la differenza, fondamentale: un conto è il titolo che concede il presidente della Repubblica, altra cosa l’appartenenza al club dove si iscrivono quanti l’hanno ricevuta. Alla seconda Silvio ha effettivamente rinunciato, pare, senza rimpianti; ma il cavalierato, anche volendo, non potrebbe restituirlo in quanto la legge non prevede questa eventualità. Chi l’ha ricevuto (nel suo caso, 41 anni addietro dalle mani dell’allora presidente Giovanni Leone) se lo deve tenere, a meno che lo Stato non ne pretenda la restituzione per comportamento indegno. E qui comincia la parte interessante della vicenda.
Come funziona la revoca
La revoca di un titolo onorifico può verificarsi su richiesta motivata del ministro competente, cui deve seguire un apposito decreto presidenziale. Da quando Berlusconi venne condannato, nessun ministro dello Sviluppo economico ha mai preso l’iniziativa di infliggergli un’umiliazione ulteriore. Dunque Giorgio Napolitano prima, Sergio Mattarella poi, non si sono ritrovati nel dubbio se firmare o meno il decreto di revoca. Alla “dimenticanza” collettiva ha contribuito Silvio medesimo, dando sempre l’impressione di snobbare quel riconoscimento e lasciando che i giornali parlassero di lui come ex, sebbene sul sito del Colle il suo nome sia tuttora elencato tra i Cavalieri a pieno titolo. Ma c’era una malizia, nell’apparente disinteresse berlusconiano: qualora l’uomo avesse rivendicato il titolo, magari a qualcuno sarebbe venuto in mente di sollevare formalmente il caso. Per cui l’avvocato Niccolò Ghedini, sempre incline alla prudenza, aveva consigliato al suo assistito di tenere un profilo il più basso possibile. Il suggerimento era stato accolto, fino a sabato scorso. E qui sorgono altri punti interrogativi: perché proprio adesso Berlusconi mette da parte ogni cautela e torna in sella al suo destriero, correndo il rischio di far scattare la procedura di revoca? Non l’hanno informato che il ministro competente a metterla in moto fa di nome Luigi e di cognome Di Maio, cioè il più nemico tra i suoi tanti nemici? Come mai il Cav lo va a sfidare?
Fedina penale immacolata
Il motivo è semplice: Berlusconi si sente al sicuro. Dai tempi della condanna tanta acqua è passata sotto i ponti. In particolare, nel suo caso, l’8 marzo scorso è sopraggiunta la sentenza di riabilitazione, che cancella la condanna di cinque anni fa e rende di nuovo immacolata la sua fedina penale. Per effetto della riabilitazione (e dei 12 mesi trascorsi ai servizi sociali) l’ex premier potrebbe tornare perfino a candidarsi alle elezioni. Insomma, è un cittadino a pieno titolo come gli altri. Nel caso in cui volesse riaprire il fascicolo, Di Maio farebbe fatica a motivare giuridicamente un decreto di revoca, e il presidente della Repubblica sarebbe ancora più in difficoltà nel mettere in calce la propria firma. Senza parlare del polverone politico che si solleverebbe in piena campagna per le Europee, di cui Berlusconi sarebbe lesto ad approfittare presentandosi nella veste di eterno perseguitato. Un pretesto che difficilmente gli verrà concesso.