Libero, 13 dicembre 2018
La dieta vegana contagia persino i cani
A veder mangiare un cane o un gatto (il gatto ha un filo di dignità in più, ma gli passa subito, come le donne dopo il decimo appuntamento) viene in mente la frase iniziale di Io e Annie di Woody Allen: «Due vecchiette sono ricoverate in un ospizio per anziani e una di loro dice: “Ragazza mia, il mangiare qua dentro fa veramente pena”, e l’altra: “Sì, è uno schifo, e poi che porzioni piccole!”». Per me, che vivo con un cane inesausto masticatore di mele e una gatta che stravede per i ceci – morti di fame per costituzione – che gli animali domestici mangino crocchette al salmone, al pollo, alla quinoa o alle patate e piselli, non fa alcuna differenza: vorranno sempre quello che abbiamo nel piatto noi. Se quel “noi” è, nello specifico, “noi vegani”, la bestia si dovrà adattare alla dieta dell’umano che lo nutre. E la moda vegan o dei cosiddetti superfood (gli alimenti ricchi di nutrienti e antiossidanti, dalle bacche di goji all’avocado – quello con i grassi “buoni”, gli acidi grassi monoinsaturi – all’acqua di cocco) si è diffusa fino a spandere mirtilli o chicchi di melograno nelle crocchette di cani e gatti.
LE CRITICITÀ La faccenda però è delicata: il cane, nato carnivoro, è diventato un onnivoro nel corso dei 60mila anni di vita con l’uomo e, rispetto ai suoi avi, si è adattato sviluppando una diversa dentatura e modificando l’apparato digerente. Il cane domestico, per esempio, ormai digerisce gli amidi perché si è abituato, nei secoli, ad accontentarsi degli avanzi (la carne, bene di lusso, non finiva spesso nella sua ciotola). Il gatto, invece, è rimasto un carnivoro puro, con esigenze nutritive molto più rigide. Al contrario del cane, non sviluppa autonomamente la taurina, un aminoacido secondario essenziale per la sua salute, la carenza del quale può causare cecità e gravi malattie cardiache. Inoltre, i felini non sono in grado di produrre la vitamina A (come invece riescono a fare sia i cani sia gli uomini). Ora, un cane, se dovesse scegliere tra un boccone di pollo arrosto e una polpetta di seitan, si getterebbe sul primo piuttosto che sulla seconda, e questo è evidente a tutti. Detto questo però, si può scegliere di «escludere le proteine animali dalla ciotola», spiega il consorzio etico Io Veg, che da poco ha messo in commercio la linea di alimenti per cani Amico Veg.
LA RICERCA Anzi, una ricerca condotta dalla Peta (People for the Ethical Treatment of Animals, organizzazione no-profit americana a sostegno dei diritti animali e contro qualsiasi forma di violenza e sfruttamento sugli animali), su 300 cani alimentati con cibo vegetale per cinque o più anni, «conferma che le condizioni di salute dell’82% di loro sono risultate buone o eccellenti e che la vita media per questi animali è stata ben 12,6 anni». I nuovi cibi, quindi, oltre a voler tutelare anche gli animali che finiscono frullati in crocchette, bocconcini, paté, mousse e leccornie varie, si concentrano più sui nutrienti che non sugli ingredienti: dagli aminoacidi (taurina, metionina, lisina, triptofano), alle vitamine (quelle del gruppo B, la D3, la A e la E), i minerali (calcio, fosforo, zinco) e alcuni grassi (il linoleico, EPA, DHA). Ecco perché il fai da te in questo caso non funziona: una dieta esclusivamente vegetale potrebbe contenere fattori “antinutrizionali” e ridurre così l’assorbimento di importanti minerali come il calcio, il magnesio o lo zinco. Rimarrà da verificare l’altra campana, quella dei “carnivori”, che ritengono insostituibile la dieta “primitiva”: soprattutto nel lungo periodo, sostengono, il cane o il gatto inizieranno a desiderare gli alimenti geneticamente “iscritti” nel loro cervello. Non dargliene provoca il rilascio di corticosteroidi, gli ormoni dello stress, che aumentano la glicemia, predispongono al diabete, possono causare problemi renali, piuttosto che diminuire le difese immunitarie.