Libero, 13 dicembre 2018
Cresce il numero di contadini in Italia
Avranno pure le scarpe grosse e il cervello fino, ma gli agricoltori sono gli unici ad aver capito dove tira il vento. Del resto, è proprio da lì, dai campi, che arriva la lezione più antica del mondo: chi non semina non raccoglie. E se le fabbriche chiudono, le aziende delocalizzano e i robot ci fanno anche le pulizie di casa, l’unico posto dove seminare con profitto è rimasto proprio quello più scontato: nella terra. Certo, ci sono la siccità, il gelo, la grandine, i parassiti. Persino le cavallette. Ma alla fine zappa, vanga e olio di gomito, in un momento in cui le imprese manifatturiere saltano con la facilità di un tappo, sembrano comunque il modo più sicuro di portare a casa un po’ di quattrini alla fine del mese. La retorica del buon selvaggio o dei benefici della vita bucolica, a contatto con la natura, c’entrano poco. Così come le origini contadine della nostra civiltà e della nostra cultura. A volte meniamo il can per l’aia o usciamo dal seminato, altre non riusciamo a separare il grano dal loglio o pretendiamo di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma qui non sono in gioco la lingua italiana, i proverbi, la saggezza popolare. Qui si tratta di affari, di crescita del Paese e, soprattutto, di posti di lavoro. Già, perché se guardiamo la capacità di produrre nuova occupazione, il settore dell’agricoltura sembra quello di gran lunga più in salute, il solo in grado di resistere alla nuova, violenta contrazione del mercato del lavoro. I dati snocciolati ieri dall’Istat parlano chiaro. Insieme al pil, nel terzo trimestre è calata pure l’occupazione, diminuita dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti. Il che significa, in termini reali, la bellezza di 52mila lavoratori in meno.
SETTORE DINAMICO Non tutti i comparti produttivi, però, hanno sofferto nella stessa maniera. Anzi, c’è chi non ha sofferto affatto. È il caso dell’agricoltura, che nel confronto delle ore lavorate con lo stesso periodo dello scorso anno ha surclassato tutti i concorrenti. Tra allevatori e contadini, infatti, la quota è balzata addirittura del 4,2% rispetto al 2,6% dell’industria, ad un misero 0,7% dei servizi e ad uno zero spaccato delle costruzioni. «Si tratta», ha spiegato Coldiretti, «della conferma della dinamicità del settore che è stato capace di attrarre anche moltissimi giovani, sia per fare una esperienza di lavoro come dipendenti che per esprimere creatività imprenditoriale». Capito bene? Non stiamo parlando di poveri zappatori scappati nei campi per disperazione, né di quelle braccia che spesso vengono rubate all’agricoltura per svolgere altri mestieri, solitamente con poca perizia. A trainare il mercato del lavoro sono giovani imprenditori agrari, scienziati della terra o ragazzi che si rimboccano le maniche per imparare una nuova professione. I dati più recenti parlano di una crescita del 5% nel 2018, in controtendenza con la disoccupazione giovanile, di aziende agricole condotte da under 35. Un aumento che, con 55mila imprese attive, porta l’Italia al primo posto in Europa. E la tendenza sembra destinata a crescere. Negli ultimi sette anni, infatti, gli studenti italiani hanno letteralmente preso d’assalto la facoltà di agraria, che ha avuto un aumento del 14,5% delle iscrizioni, anche in questo caso in netta controtendenza con il calo generale del 6,8% registrato nello stesso periodo nel resto dei corsi di laurea. E pure i genitori sono felici. Otto italiani su dieci si dicono infatti contenti di vedere il proprio figlio lavorare in campagna.
CAMBIAMENTO EPOCALE Per Coldiretti non si tratta di un fenomeno passeggero, di una moda. Bensì di un «cambiamento epocale, che che non accadeva dalla rivoluzione industriale». La sostanza, spiegano dall’associazione, è che «l’agricoltura è tornata ad essere un settore strategico per la ripresa economica ed occupazionale». I risultati si vedono già. Le aziende agricole dei giovani possiedono una superficie superiore di oltre il 54% rispetto alla media, un fatturato più elevato del 75% e il 50% di occupati per azienda in più. Ma le prospettive sono potenzialmente sconfinate. L’Italia è il primo Paese in Europa per numero di certificazioni e riconoscimenti di qualità sui prodotti tipici della nostra terra. Con centinaia di eccellenze nell’ortofrutta e nei prodotti caseari che esportiamo in tutto il mondo. Abbiamo il clima perfetto, il sole giusto. E anche la tradizione è dalla nostra parte. Basta solo avere voglia di rimettersi in gioco e avere il coraggio di sporcarsi un po’ le mani. Tanto quelle, in un modo o nell’altro, ce le sporchiamo comunque.