Dove ha imparato a scrivere così?
«Grazie di averlo chiesto in questo modo, di solito mi dicono: chi ti ha ispirato? Ma l’ispirazione non c’entra, da ragazzino ho proprio imparato. Più di tutti da Caparezza e Fabrizio De André. Dal primo soprattutto la tecnica, da De André il punto di vista sulle cose».
Certo sembrerebbe difficile diventare un provocatorio verseggiatore rap partendo dalla periferia di Meta di Sorrento…
«E invece è stata la mia fortuna. Sono nato nella penisola sorrentina, e questo significa crescere senza influenze, riferimenti, nessuno mi ha detto come dovevo fare, nessuno mi ha spronato, ho fatto tutto da me. Cercando di comunicare mi è venuto naturale scegliere il rap: è la forma del mio tempo. In fondo è strano, questa mia terra ha ispirato molti artisti che non erano di queste parti, ma ne ha prodotti pochi. La verità è che se fossi nato altrove non sarei lo stesso».
È vero che studia agraria?
«Sì, all’università di Portici. Ho fatto il classico, ma dopo ho pensato a qualcosa di totalmente diverso, che non necessariamente dovesse darmi uno sbocco professionale».
E in famiglia come hanno preso la musica?
«Fino a un certo punto non ho detto nulla. Pubblicavo pezzi come Nasta, poi quando è uscita la mia prima canzone è arrivata mamma e mi ha detto: "questo Nasta sei tu?". Ma è andata bene, non mi hanno mai ostacolato».
Gli artisti, hanno apprezzato le versioni "alterate" dei loro classici?
«Davvero non lo so. L’unico da cui ho avuto un feedback è stato De Gregori, so che ha apprezzato Generale, ed è una soddisfazione immensa. Degli altri ovviamente non saprei dire, ma penso di avere avuto rispetto per quei pezzi. Non ho tolto nulla, ho messo del mio».
E infatti proprio su questo c’è stata qualche polemica: di fatto ogni settimana ha presentato un inedito. Un vantaggio?
«Non credo, e comunque i rapper hanno sempre fatto questo, qui a X Factor, io magari l’ho fatto in maniera più pervicace, ma non saprei dire se è un vantaggio, non credo che agli altri sia stato impedito, il regolamento lo prevede. Poi se gli altri non vogliono farlo… È chiaro che a me fa piacere, mi ci ritrovo in pieno».
E il suo lato da attore? Quello dove l’ha imparato?
«Da nessuno in particolare. Forse è un modo nostro, da napoletani, è naturale. Penso che un artista debba comunque essere un attore».
Si aspettava un consenso così forte?
«Speravo in un buon feedback. Non a questo livello, ma devo ammettere che le aspettative non erano basse. Ero consapevole che quello che scrivevo poteva arrivare a una parte ampia di pubblico».
Fino a mostrare una certa sicurezza sulla scena. Dipende dalla forza di quello che ha da dire?
«Credo di sì. Se vai sul palco e non sei convinto tu per primo il pubblico se ne accorge immediatamente. Io credo in quello che dico. Fino a ora mi sono basato su assegnazioni arrivate da altri, cosa che mi ha costretto a lavorare molto sulla consapevolezza: dovevo prendere qualcosa da qualcuno che non ero io e poi farlo mio, e per certi versi questo è ancora più difficile».
Poi c’è il suo inedito. Non è esageratamente apocalittica quell’idea del Giudizio Universale che va in frantumi?
«Vorrei essere un artista che emoziona irritando. Vorrei far uscire la parte del rompicoglioni, quella che fa dire a Mara Maionchi che la disturbo».
Qual è stato il momento più esaltante?
«La volta di The Wall, per la risposta che c’è stata, la gente batteva i piedi, un minuto di applausi, è stato pazzesco».
Che sia o no un vantaggio, sono tutti molto meravigliati dalla sua capacità di scrivere ogni settimana un pezzo nuovo. Dica la verità erano versi che aveva già nel cassetto?
«No, giuro, è tutto nuovo, sono stato fortunato perché le cose arrivano o no. Devo essere proprio in un periodo di forma».
Cosa vorrebbe ora, qual è il suo desiderio supremo?
«Continuare a essere percepito come un disturbatore. Mi piace essere un corpo estraneo, magari nella scena rap non sarò mai riconosciuto appieno. Ma va bene così. Quando vengo frainteso do il meglio di me».