la Repubblica, 13 dicembre 2018
La marijuana fa sognare l’industria del tabacco
NEW YORK Dopo Big Tobacco e Big Pharma, è in arrivo Big Marijuana. Le “Marlboro verdi” saranno presto realtà? Per alcuni è un sogno, per altri un incubo, ma “loro” fiutano un business che viene ormai stimato a 30 miliardi di dollari di fatturato annuo, a regime. Loro, sono le multinazionali che per decenni si sono specializzate su “altri” vizi umani come le sigarette e l’alcol. La liberalizzazione del consumo di marijuana a scopi non più solo terapeutici ma anche ricreativi, è ormai una realtà in tutto il Canada e in diversi Stati Usa.
Quello che era stato un mercato dapprima illegale, poi di nicchia e molto artigianale, assume di colpo dimensioni vaste. Già l’anno scorso valeva 8 miliardi di dollari in Nordamerica, quando le legalizzazioni erano ancora parziali o recenti. Il New York Times elenca gli investimenti che segnano l’ingresso di colossi attirati dal nuovo mestiere. Altria (ex Philip Morris), multinazionale delle sigarette con marchi come Marlboro, ma anche presente sul mercato dei vini, ha acquistato per 1,8 miliardi di dollari la metà del capitale di Cronos Group, produttore canadese di marijuana con sede a Toronto.
Constellation, multinazionale degli alcolici che spazia dalle birre Corona e Modelo ai vini Ruffino e Mondavi al bourbon e alla vodka, ha investito 4 miliardi per avere la maggioranza di Canopy Group, altra azienda canadese della marijuana. La Molson Coors della birra omonima ha creato una joint venture con un terzo gruppo canadese, del Québec. Oltre a confermare il boom di un nuovo mercato, l’arrivo di attori dalle spalle così robuste e con esperienza antica, potrebbe comportare conseguenze a cascata. Dall’organizzazione delle reti di vendita al marketing alla pubblicità: vedremo spot tv che vantano i benefici dello spinello? Le fiancate degli autobus newyorchesi e le pareti del metrò saranno tappezzati da inviti a fumare? Non siamo ancora a questo punto, ma potremmo arrivarci un giorno. Il paradosso va al cuore di una contraddizione molto americana. Chi vive qui lo constata da decenni: soprattutto nelle zone più permissive e trasgressive degli Stati Uniti, come la California, il fumo delle sigarette è ostracizzato socialmente in modo implacabile. Oltre ai divieti che si estendono alle abitazioni private e ai parchi pubblici, chi fuma una sigaretta è circondato dal disprezzo altrui. Tutto il contrario dello spinello che invece ha un’approvazione diffusa. I militanti della prima ora ne sostengono le virtù e garantiscono che non è cancerogeno, minimizzando i pericoli di assuefazione. Finora la California restava in un limbo dove gli aficionados si passavano gli indirizzi dei medici “giusti” e dei dispensari farmaceutici. Con le legalizzazioni che avanzano in molti Stati tutte le regole sono in evoluzione. Resta fermo il divieto a livello federale, una contraddizione non da poco perché un agente dell’Fbi o della Dea può trattare come un reato ciò che non lo è per la polizia locale. L’entrata in campo delle multinazionali potrebbe accelerare il lobbismo per una liberalizzazione a livello federale. Tra le multinazionali non ancora convertite, ma che hanno dimostrato interesse nel nuovo business, figurano anche la Coca Cola e la Diageo (multinazionale britannica che annovera tra i suoi alcolici il whiskey Johnny Walker e la vodka Smirnoff). Nel mondo della grande distribuzione, la filiale canadese degli ipermercati Walmart è tra quelle che stanno studiando la possibilità di vendere marijuana. Un altro gigante americano della grande distribuzione, Target, aveva cominciato a vendere solo online prodotti contenenti Cdb (derivati dalla cannabis) ma poi ha sospeso la vendita. Un altro limbo dove vige l’incertezza sono i prodotti alimentari e le bevande contenenti marijuana: al momento il Canada non li ha liberalizzati.