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 2018  dicembre 13 Giovedì calendario

Intervista a Giuseppe Paschetto, l’unico italiano in gara come miglior docente del mondo

Dimenticate l’idea che la scuola sia solo fatica e noia, competizione sfrenata e ansia di prestazione. Qui sembra valere il mantra opposto: ho studiato per allegria. Tra creatività, impegno sociale e condivisione, sulle montagne del biellese c’è un’isola felice dove gli alunni delle medie imparano scienze e matematica facendo strudel, inventando giochi, mischiando numeri ed emozioni per ricordare meglio mentre creano crowdfunding per salvare la natura. A seguirli Giuseppe Paschetto, laurea in chimica, 63 anni, insegnante di matematica e scienze alla scuola media di Mosso, nel comune di Valdilana. È lui l’unico docente italiano tra i 50 finalisti annunciati oggi e che si contenderanno a marzo a Dubai il titolo di miglior professore del mondo. Il premio, assegnato dalla Varkey Foundation, mette in palio un milione di dollari da spendere in progetti scolastici.
Strudel per imparare scienze e matematica?
«La mia idea è che si impara insieme, non c’è il prof che parla e gli alunni che ascoltano. Qui i ragazzi lavorano in gruppi, senza libri di testo. E preparare un dolce è l’occasione per calcolare calorie e composizione chimiche delle sostanze, superfici geometriche. L’idea è prima si fa esperienza e poi arriva la teoria, la regola».
Qual è il suo obiettivo?
«La scuola deve farti uscire migliore di come sei entrato, con strumenti per vivere nel mondo, deve darti senso sociale, condivisione, interessi e sapere. Deve essere come una casa dove sei felice di stare. Dove non danneggeresti mai qualcosa perché lo senti tuo. La scuola non è una gara dove devi arrivare primo o un’impresa che deve rendere: è il luogo dove secondo me bisogna mettere al primo posto il benessere degli alunni.
Un po’ come in Buthan dove il Prodotto interno lordo si calcola anche in base alla felicità».
Qual è il suo metodo segreto?
«Sono semplicemente convinto che bisogna coinvolgere gli alunni con le emozioni prima che sul piano razionale e cognitivo. Le informazioni restano più impresse così, come dimostrano studi ed esperienze straniere».
A chi si ispira?
«A due miei professori del liceo classico: quello di storia ci faceva fare ricerche sulla guerra in Vietnam negli anni settanta e con quella di storia dell’arte scrivevano il giornalino scolastico. Docenti atipici».
Lei non dà voti, niente regole?
«I voti non li amo, e quelli finali sono un misto di mia valutazione e di quella che i ragazzi hanno del loro lavoro: quasi sempre combaciano. Le regole ci sono e c’è un enorme rispetto da parte dei ragazzi che qui senza discutere lasciano all’entrata della scuola i telefonini. Hanno troppo da fare in classe e fuori per usarlo».
Camminate e viaggi?
«Impariamo l’astronomia andando a fare passeggiate sui monti di notte e per favorire il rapporto tra culture — sono molti i ragazzi di origine marocchina di seconda generazione già integrati — ognuno racconta come si chiamano le stelle nella sua lingua».
Avete salvato l’isola di Budelli?
«La scuola media deve aiutare anche a formare il senso civico; così mentre studiavano ecologia lo scorso anno è venuta fuori la storia dell’isola di Budelli che stava per essere venduta ai privati. I ragazzi hanno lanciato un crowdfunding che ha raccolto migliaia di euro, prima che lo Stato decidesse di intervenire, e che ora vengono usati per quell’isola. Negli anni poi i ragazzi hanno sostenuto a distanza bambini palestinesi, bosniaci, tibetani e sono anche andati a trovarli scoprendo mondi sconosciuti».
Cosa vorrebbe dallo Stato?
«Classi molto più piccole. Per insegnare bene bisogna avere 15 studenti al massimo, così si può sperimentare e apprendere molto meglio».
La frase più bella di un suo alunno?
«Mi sono divertito. Me lo hanno detto in tanti, finite le medie. E questo ha dato un senso al mio lavoro, al desiderio di vederli crescere e imparare a vivere nel mondo».