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 2018  dicembre 13 Giovedì calendario

I jihadisti d’Europa dopo il ko del Califfato

Mentre tutta l’attenzione del Paese era rivolta ai «gilet gialli», la Francia è tornata ad essere colpita dalla minaccia che negli ultimi anni l’aveva attanagliata e che sembrava quasi dissipata: il terrorismo di matrice islamista. I dettagli sono ancora frammentari, ma pare che l’attentatore di Strasburgo ricalchi un copione già visto e rivisto, Oltralpe come nella maggior parte degli attentati in Europa negli ultimi anni: nato in Francia, noto alle forze dell’ordine, ha agito da solo e contro un obiettivo difficilmente difendibile. 
Il primo punto è stata una delle caratteristiche nuove della mobilitazione jihadista europea legata allo Stato Islamico: sebbene ci siano stati vari attacchi perpetrati da immigrati di prima generazione e da rifugiati, la maggior parte dei radicalizzati presenti nel Continente sono soggetti nati e cresciuti in Europa, seconde se non terze generazioni (con qualche convertito): la minaccia è pertanto perlopiù autoctona e solo in alcuni casi collegabile ad arrivi esterni (anche se ci sono stati esempi importanti in tal senso). 
Farà poi discutere un altro fatto comune a molti attentati degli ultimi anni: l’attentatore era conosciuto dall’intelligence sia come criminale sia come radicalizzato - era un «fichier S», la categoria con cui i francesi bollano gli estremisti violenti. Partirà subito la polemica: perché allora non è stato arrestato? Pare che la dimora dell’attentatore fosse stata perquisita la mattina dell’attentato, un fatto che forse ha precipitato le sue azioni. I dettagli emergeranno col tempo e forse ci sono stati degli errori di valutazione. Ma rimane un fatto: essere un fichier S, un radicalizzato, in Francia come in ogni altro Paese europeo dove vige lo stato di diritto, non rappresenta di per sé un crimine. Fa di sicuro scattare l’interesse di servizi e forze dell’ordine, che possono monitorare, anche se nei limiti di quello che la legge consente e con le risorse limitate che si posseggono. In Francia, caso limite con i numeri più alti d’Europa, ci sono circa 18.000 fichier S: impossibile controllarli tutti, anche solo sporadicamente. Per questo si fa un’allocazione delle risorse e dell’attenzione a seconda di un’inevitabilmente imperfetta valutazione del livello di pericolosità di ogni soggetto. Non sempre ci si prende.
Ma, in ogni caso, più di tanto non si può fare. Ed è il prezzo della democrazia: avere idee radicali, dichiarare apertamente di volere la fine della democrazia e instaurare la legge islamica al suo posto, dichiarare fedeltà al Califfo, sono espressioni costituzionalmente protette della libertà di parola. L’antiterrorismo può intervenire quando ci sono indizi concreti che il soggetto intenda passare dalle parole ai fatti, dalla militanza da tastiera all’attentato. E nel terrorismo dei lupi solitari, delle azioni isolate e senza grossi preparativi (come pare essere stato l’attentato di Strasburgo), questo passaggio è spesso pressoché impercettibile e quindi difficilmente intercettabile. 
Pare prematuro parlare di recrudescenza del terrorismo jihadista. La minaccia non era mai scomparsa, né in Medio Oriente, dove lo Stato Islamico ha perso il territorio ma esiste ancora e dove altri gruppi, inclusa al Qaeda, rimangono attivi, né in Occidente, dove le sirene del jihadismo continuano ad attrarre simpatizzanti. Al tempo stesso va detto che quello di Strasburgo è solo il settimo attentato a colpire l’Occidente nel 2018, mentre si erano visti 22 attacchi nel 2016 e 27 nel 2017. E si tratta sempre di attentati amatoriali e compiuti da un solo soggetto, nulla a che vedere con le stragi del Bataclan o alcuni dei più sanguinosi episodi degli anni precedenti. 
La comunità dell’antiterrorismo europea temeva un’ondata di violenza compiuta dai «foreign fighter di ritorno», i reduci del califfato che avrebbero potuto mettere in mostra le doti di guerra acquisite sul campo in Siria e Iraq nelle nostre città. Si temeva anche che simpatizzanti che mai si erano recati in Medio Oriente potessero cercare di vendicare la sconfitta del Califfato. Tutto ciò fortunatamente non si è realizzato. Pare però chiaro, e Strasburgo ce lo ricorda, che la minaccia esiste ancora.