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 2018  dicembre 13 Giovedì calendario

Nel cuore dell’Europa orientale dove i robot ci hanno già sostituito

Quasi tutti i Paesi della Europa centro-orientale hanno un grave problema demografico, causato da culle vuote e da marcata emigrazione. La più grave conseguenza? Il «labour shortage», ossia la carenza di manodopera più o meno qualificata. Come superare lo scoglio? Puntando anche sui robot, per colmare i vuoti lasciati dalle tute blu umane nelle fabbriche. 
È lo scenario che si sta sviluppando in tutta l’area, con dei picchi anche in Slovenia. Non siamo, in termini assoluti, ai livelli dei Paesi più automatizzati al mondo, come la Corea del Sud (dove i robot sono diffusissimi nell’automotive e nel comparto elettronico), Singapore, Germania e Giappone, ma la tendenza è tracciata. 
Lo confermano stime recenti della International Federation of Robotics (Ifr), che ha segnalato «un aumento considerevole» della vendita di robot industriali «nella gran parte dell’Europa centro-orientale». Non era così nel 2016, quando «le stime annuali» di ordini di «robot industriali multifunzione» riferivano di neanche 8 mila unità, meno della metà di quelli arrivati solo in Germania. 
Ma dal 2017 la situazione ha iniziato a cambiare: 10.538 l’anno scorso, 13.500 quest’anno, 16.500 previsti nel 2019, 19.750 nel 2020. E oltre 24 mila nel 2020 (+28% rispetto al 2018), con una spesa complessiva nella regione per la robotizzazione che salirà «dai 2,5 miliardi di dollari del 2016 ai 4,2 del 2020», secondo le proiezioni della International Data Corporation. 
A essere interessate alla robotizzazione sono in particolare le «aziende delle economie del Gruppo di Visegrad», quelle dalla crescita più forte e dai maggiori problemi di manodopera, ha ricordato il portale specializzato sulle economie dell’Est, IntelliNews.
Ma quanti sono i robot nelle fabbriche dell’Europa orientale? Dati della Ifr ricordano che la media globale, nel 2016, era di 74 robot industriali ogni 10 mila occupati del manifatturiero, ma il numero schizza, ad esempio, a 137 in Slovenia, al sedicesimo posto al mondo, davanti a Paesi come la Francia (132). 
Slovenia che è all’avanguardia e già oggi ospita colossi della robotica come Fanuc, Abb e Yaskawa, gigante giapponese che proprio dalla Slovenia, con la nuova fabbrica di robot a Kocevje, partirà «per l’espansione in Europa», ha annunciato l’azienda in primavera. Ma anche la Slovacchia sta scalando le classifiche, con 135 unità e il 17° posto in classifica. Poco dietro, al 20° posto (101 unità) la Repubblica Ceca, Paese dove il termine «robota», lavoro forzato, è nato negli Anni Venti. La stessa l’Ungheria, oggi al 25° posto (57 unità su 100 mila) sta facendo passi da gigante verso la robotizzazione, tallonando la Cina. E proprio l’Ungheria, ieri, ha introdotto quella che le opposizioni hanno battezzato «legge schiavista»: più straordinari nelle fabbriche - fino a 400 ore all’anno - per far fronte alla carenza di manodopera. In attesa di più robot. 
Quando le macchine, con il tempo, prenderanno piede, anche gli attuali occupati rischiano di rimanere a casa. E i numeri fanno paura. Secondo uno studio della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), il lavoratore medio in Slovacchia ha un rischio del 62% di perdere in un futuro non lontano il proprio impiego a causa dei robot, il 57% in Lituania e Grecia, il 54% in Germania, il 53% in Slovenia, il 52% in Polonia, come in Italia. E per tutti vale l’assunto, ricordato dalla Bers, che «per ogni robot ogni mille lavoratori il tasso d’occupazione si riduce dello 0,7%».