Paolo Isotta per “Libero quotidiano”, 8 dicembre 2018
OLTRE AL “BARBIERE” C’E’ DI PIU’ – ISOTTA IN LODE DI GIOACCHINO ROSSINI, UN MUSICISTA CAPACE DI PRODIGI VERI – L’AUTORE DI “OTELLO” E DEL “GUILLAUME TELL” SCRISSE 38 OPERE. POI ABBANDONO’ LA CARRIERA NEL SILENZIO CON “FILOSOFICA DETERMINAZIONE” – VIDEO -
Tento un ritratto di Rossini meno ovvio di quel che sarebbe possibile. E incomincio col volto "severo" del genio bifronte.
I suoi studi regolari durarono poco. Al culmine della fama, nel 1820, quando a Napoli compose una Messa, la colossale Fuga conclusiva del Gloria se la fece scrivere da Pietro Raimondi.
Non si deve a una pigrizia proverbiale e da lui spesso simulata: è un atto di umiltà. A trentasette anni, nel 1829, dopo lo sforzo del Guillaume Tell, per il teatro non creò più. Sarebbe vissuto trentotto anni. E trentotto è il suo numero fatidico: tante Opere scrisse.
Ma, dopo, non stette un giorno senza continuare a studiare, a impadronirsi dei più giovani, italiani, francesi, tedeschi. L' abbonamento n. 1 di Parigi delle opere complete di Bach era il suo. La sua ultima composizione importante è del 1862, e porta uno di quei titoli antifrastici proprî al suo carattere: Petite Messe Solennelle.
Come a dire: scrivo sì una Messa Solenne, ma piccola, non oso paragonarla a quelle dei Maestri che considero davvero grandi. C' è invece tutta la grazia del giovane genio, insieme con una scienza compositiva e formale insondabile. La Fuga strumentale al suo interno, ch' egli chiama Prélude religieux, alla conquistata dottrina aggiunge la divina ispirazione data a pochi. Se consideriamo lo stile del capolavoro, il divario rispetto al Tancredi, ossia la prima, meravigliosa Opera tragica (1813), è forse ancor superiore di quello che possiamo constatare fra l' Oberto e il Falstaff, prima e ultima delle Opere teatrali di Verdi. E ne resta un' impressione: come se fossero dei Mémoires d' outre-tombe, ma pubblicati in vita.
«IL TEDESCHINO» Il Maestro si formò a Bologna. Vi aveva regnato il padre Giovan Battista Martini, uno dei più grandi contrappuntisti della storia. Era il solo italiano del tempo che avesse intima conoscenza dell' opera di Bach.
Gioacchino ebbe a insegnante l' erede di Martini, il padre Stanislao Mattei. Ecco la ragione del non voler egli scrivere la Fuga nel 1820: altro che pigrizia! Sapeva, e capiva, troppo. Quando poi si ascoltano i pezzi per pianoforte da lui composti nei lunghi anni del cosiddetto "silenzio", lo vediamo capace di scrivere del Bach nello stile di Bach, del Bach nello stile di Liszt, dello Chopin. Oltre che delle prese in giro di Liszt, di Chopin, di Offenbach, di Rossini.
Durante gli studi, era soprannominato "il Tedeschino". «Mozart», soleva dire negli anni del "silenzio", «è stato l' amore della mia adolescenza, la disperazione della mia maturità, la consolazione della mia vecchiaia». Non si può esser più lapidarî.
Ma al nome potrebb' esser sostituito quello di Haydn. Consideriamo l' inizio di uno dei capolavori del periodo napoletano, il Mosè in Egitto, composto a ventisei anni. Principia con la celebre "scena delle tenebre", il mondo sepolto nel buio, la musica fissa sul rotare di una figura tematica che non abbandona il Do minore. Un esordio simile, e poi la meraviglia della riconquistata luce dopo la possente preghiera in "declamato" fatta da Mosè, che coincide con l' apparizione, autentica conquista, di un trionfale Do maggiore, lascia tuttora senza fiato. Ma un esordio simile non sarebbe concepibile senza il Kyrie dell' incompiuta Messa in Do minore di Mozart e senza la pagina sinfonica con che s' apre La Creazione di Haydn. La Rappresentazione del Caos erra fra accordi dissonanti del tono di Do minore. È forse il più bel Poema Sinfonico mai scritto.
Quando si conclude, la voce dello Historicus dice del Caos senza forma né misura di che era fatto l' universo. Iddio decide che la luce sia. A La luce fu, il più trionfale esplodere del Do maggiore della musica. Rossini riesce dunque a trasformare in dramma, nel senso di azione, come l' intende la Tragedia greca, il dramma sinfonico-simbolico inventato da Haydn, riproducendolo e trasponendolo in una Parodo drammatica. È l' omaggio creativo di un giovane genio a un genio classico.
AGGUERRITO COMPETITORE E c'è un intreccio straordinario. Wagner ebbe nella sua vita un sol insegnante di composizione. Era il dresdense Christian Theodor Weinlig. Questi era stato a Bologna nel 1806 discepolo di Mattei: nello stesso periodo della paideia di Rossini quattordicenne. Nella visita che il più giovane fece al più anziano Maestro nel 1861 alla Chaussée d' Antin (esservi ricevuti era un segno di somma distinzione), di ciò non si discusse. Parlarono di estetica e di principî compositivi. Wagner non si aspettava di trovarsi di fronte a un così agguerrito competitore.
Alla morte del Maestro ne scrisse un meraviglioso compianto, affermando che Rossini era l' uomo più grande e più buono che in vita avesse avuto la sorte d' incontrare. "Il Tedeschino". La presenza di Beethoven nell' arte e nell' idea di arte di Rossini viene sottovalutata.
Nel secondo e terzo decennio dell' Ottocento, chi in Italia lo conosceva? Ma quando nel 1816 l' austriaco Lichtenthal intervistò a Napoli Gioacchino intento a comporre l' Otello, credette di farlo cadere dalle nuvole nominando colui che a Vienna era considerato il più grande Maestro vivente. Rossini, serafico, si sedette al pianoforte e incominciò a interpretarne a memoria alcune Sonate.
Beethoven era per lui l' ideale stesso del compositore, ancor più di Mozart. L' Otello ha pagine che non potrebbero intendersi senza il dominio dello stile di Beethoven. Nel Guillaume Tell vediamo di continuo che a Beethoven Rossini tende; e nella sublime apoteosi del finale inno alla libertà ne raggiunge l' altezza.
Ma certe cose riescono una volta sola. Rossini sapeva che, con tutto il suo genio, non sarebbe mai stato Beethoven; piuttosto che rassegnarsi a un secondo posto, proprio quando, morti Beethoven e Schubert, era considerato il più grande compositore vivente, preferì non scrivere più.
Questa è una delle ragioni del cosiddetto "silenzio". Ancora cretini si fanno ingannare dai motti di spirito coi quali il Maestro lo spiega: che celano una profondissima tragedia umana e artistica. Pigrizia, raggiunta ricchezza. Si dimentica che in una lettera definisce il proprio ritiro dal comporre una "filosofica determinazione". Una volta che dice la verità, non gli credono.