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 2018  dicembre 08 Sabato calendario

L’assassina del Pasticciaccio è la nipote “co la voce d’omo”

Un colpo di fulmine. Così a Gadda apparve, nell’autunno del ’45, la notizia di un efferato femminicidio a Piazza Vittorio. La giovane moglie d’un suo collega ingegnere era stata trovata colla gola mozzata da un coltello da macellaio. Le assassine, due sorelle dell’hinterland, più volte beneficiate dalla vittima. È la scena del delitto che Gadda proietta all’altro capo del Ventennio, nel marzo del 1927. «A via Merulana… è successo un orrore»: così viene riferito a Ciccio Ingravallo sapendo che lui, il commissario, dalla vittima Liliana Balducci una volta era stato a pranzo: non potendo non ammirare la bellezza malinconica della signora, nonché quella verace della «nipote» che serviva a tavola, l’Assunta («una nipote per modo di dire»). 
Ma non è l’unica coincidenza che si stringe, al fattaccio, «come un vortice». C’è pure l’altra per cui nello stesso stabile, pochi giorni addietro, il medesimo Don Ciccio era stato chiamato a indagare su un furto di gioielli. Le indagini sui due delitti, distinti ma misteriosamente connessi (in un disegno in cui, come ha visto Gabriele Frasca, la psicoanalisi si connette a sua volta alla fisica quantistica), continueranno a intrecciarsi in un «nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo». O «gliuommero», come traduce il molisano Don Ciccio.
Un bel pasticcio. Anzi, un Pasticciaccio. Così intitola Gadda il «giallo» col quale sogna di sbrogliare, lui pure, la matassa di impegni presi cogli editori italiani. Aggrovigliandola, però, ulteriormente. Pubblica cinque puntate su rivista, poi qualcosa (forse la lettura di un libro pur’esso segretamente collegato al suo, l’Ulisse di Joyce) lo fa inceppare. Segue un decennio di esitazioni, latenze e soprassalti. Alla fine, quando nell’estate del ’57 il romanzo gli verrà strappato di mano da Garzanti, questo si presenterà come il torso d’un insieme rinviato a una conclusione a venire, promessa ma mai davvero messa in cantiere. Come dirà molto tempo dopo il «giallo» non conclude, è vero – non stringe un solo (una sola) colpevole –, ma l’opera è «letterariamente conclusa. Il poliziotto capisce chi è l’assassino e questo basta». 
Nell’ambito del più importante restauro mai operato dalla filologia di testi italiani contemporanei (che ha già dato fra gli altri un frutto di straordinario rilievo con la «versione originale» di Eros e Priapo), la nuova edizione delle opere di Gadda diretta insieme a Paola Italia e a Claudio Vela, Giorgio Pinotti non solo ricostruisce l’intricata lavorazione del romanzo, e la sua confezione editoriale, ma finalmente ci fornisce anche le scalette del vagheggiato prosieguo: le quali confermano che una sola sarebbe ivi stata la colpevole (l’altra «nipote», quella «co la voce d’omo», la cugina Virginia). Ma era proprio questa conclusione univoca a rendere «interminabile» – come freudianamente lo definisce Gadda – il romanzo. Giunto sul punto di licenziare il suo opus ultimum, si rese conto che rischiava di dar corpo a una verità non sospetta. Per letterariamente compierlo, invece, la «coda serpentesca del coccodrillone» (come lo definisce in una lettera a Contini) doveva amputarla: con taglio non meno crudele di quello che aveva reciso la gola di Liliana.
Ma grazie a Pinotti, nel libro, trova spazio un’ultima sorpresa: una bonus track che è anche una phantom track. Per tempo Gadda, conoscendo le sue ambagi da «morante» e «remorante», scrive infatti quello che – del sospirato secondo volume – sarebbe stato il finale. Un finale lirico che, come quello del «libro parallelo» e non meno nevroticamente incompiuto, La cognizione del dolore («dolore», appunto, sarebbe stata la sua ultima parola), avrebbe sospeso la vicenda in una campagna sovrastata dal verso del cuculo: un paese «venuto da prodigio» che appare «in una estensione mentale, non spaziale». Se il maggior romanzo mai scritto nella nostra terra è altresì la sua immagine più memorabile, è perché il suo è un paesaggio mentale.