la Repubblica, 8 dicembre 2018
Le panchine tutte italiane con il ritorno di Prandelli
Una panca all’italiana. L’arrivo di Prandelli al Genoa confeziona un dato assente da 11 anni: alla guida delle squadre di A non ci sono tecnici stranieri. Prima di Juric, nelle scorse settimane lo spagnolo Velazquez ha lasciato Udine. Eugenio Fascetti, decano degli italianisti, esulta: «Era ora, siamo i più preparati, vinciamo all’estero, non c’è in Europa una scuola tecnica come Coverciano, da noi hanno trionfato solo fenomeni, Herrera, Liedholm, Mourinho».
Conoscenze, esigenze di budget e capacità immediata di adattamento: l’autarchia in panchina a cui si è votata la serie A non è condivisa dai maggiori tornei europei. In Bundesliga gli stranieri sono tre, in Ligue1 erano cinque a inizio stagione e sono scesi a tre, cinque pure in Liga, in Premier c’è posto solo per cinque manager britannici.
Nella stagione scorsa al via c’erano due allenatori stranieri ma di formazione italiana: Juric al Genoa e Mihajlovic al Torino. L’ultima edizione del torneo senza stranieri in partenza (e uno solo subentrante, Hector Cuper al Parma) risale al 2006/2007. Poi è arrivato José Mourinho all’Inter, l’ultimo straniero che ha vinto in A. Corrado Orrico, uno dei tecnici più visionari della scuola italiana, spiega: «È stato assai intelligente, sposando il calcio italiano ma portandolo più avanti, con più concretezza e meno concessioni allo spettacolo. Gli altri stranieri, da Benitez a Garcia, Luis Enrique o De Boer, erano convinti di portare concetti di gioco migliori, sono andati a sbattere contro un muro, cioè la capacità italiana di attingere a una storica sapienza tattica, per trovare varianti. Quindi per emergere spesso hannodovuto assumere atteggiamenti originali, su stile e linguaggio. La nostra conoscenza è infinita, certificata da una tradizione, che non fa rima con arretratezza, anzi. Il tuttocampismo di Gasperini all’Atalanta, che così copre le carenze della rosa, Ancelotti che segue le orme di Spalletti piazzando la difesa a tre e mezzo disinnescando Liverpool e Psg, il patrimonio di sfumature di Allegri, che predica un calcio semplice, arricchito da tantissimi dettagli: questa è la scuola italiana». Che si cementa intorno a un suo limite. «Il provincialismo che ci portiamo dietro nell’andare all’estero, per scarsa attitudine e limiti nelle lingue – continua Orrico – è divenuto un tratto distintivo, limitando i pensieri all’ambito nazionale si è giunti all’elaborazione di concetti tattici sempre più sofisticati». In questo momento ci sono solo due allenatori italiani nei grandi tornei europei: Sarri al Chelsea e Ranieri al Fulham. «Ma vorrei proprio vedere come riuscirebbero ad adattarsi Guardiola o Klopp».