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 2018  dicembre 08 Sabato calendario

Le grotte in Venezuela e i segreti di Marte

Nelle più inaccessibili grotte della Terra si può trovare la chiave per scoprire le (eventuali) tracce di vita su Marte. Sembra un paradosso invece è una delle ricerche di punta di astrobiologia, una materia che è uscita da tempo dalle pagine dei libri di fantascienza per entrare nelle aule delle università. 
«Imawarì Yeuta è la più grande grotta in quarzite del mondo», racconta Francesco Sauro, professore di geologia planetaria all’Università di Bologna. «Si trova nei tepui, montagne con la cima piatta nella giungla del Venezuela». L’area è nota come Auyantepui, che in lingua india locale significa non a caso Montagna del diavolo. Arrivarci è complicato, Sauro e il suo gruppo hanno dovuto organizzare una spedizione con l’appoggio di La Venta, team specializzato in esplorazioni geografiche-speleologiche. 
Ma cosa c’entra la vita su Marte con una sperduta grotta in Amazzonia? «Nel 2008 il rover della Nasa Spirit si è imbattuto in rocce che a un’analisi morfologica si sono dimostrate simili a stromatoliti silicee, formazioni molto rare sulla Terra. Sul nostro pianeta queste rocce si originano grazie all’azione di particolari microrganismi che riescono a vivere in condizioni estreme e che, come risultato del loro metabolismo, depositano sottilissimi livelli di silice opalina, uno stato amorfo non cristallizzato del silicio, simile all’opale», sintetizza Sauro. «Sulla Terra queste rocce si trovano in prossimità di sorgenti idrotermali e geyser. Noi le abbiamo trovate in una grotta. Sappiamo che su Marte non può esserci vita in superficie perché i raggi cosmici e ultravioletti, non schermati dalla tenue atmosfera del pianeta, danneggiano i tessuti viventi».
Se c’è stata vita sul Pianeta rosso – e se c’è ancora – si è nascosta nel sottosuolo per proteggersi dalle radiazioni che distruggono il Dna, dove ha trovato condizioni che possono essere paragonabili con quelle all’interno delle grotte di Imawarì Yeuta. «Si tratta di un labirinto orizzontale lungo circa 24 chilometri – prosegue lo speleologo-ricercatore —. La particolarità è che sono state scavate in rocce quarzitiche, a differenza della quasi totalità dei sistemi carsici che invece si sono impostati in rocce carbonatiche. La quarzite locale, vecchia di 1,6 miliardi di anni, a differenza dei calcari è pochissimo solubile in acqua. Quindi i tempi di formazione delle cavità sono molto dilatati: abbiamo calcolato un tempo variabile tra 30 e 70 milioni di anni. Vari settori di queste grotte sono senza luce, senza la presenza di corsi d’acqua. Ma, nonostante queste condizioni in apparenza impossibili per la vita, abbiamo trovato batteri e funghi, molti di specie e generi sconosciuti alla scienza. Sono stati loro, grazie alla loro lentissima azione metabolica, a trasformare l’ortoquarzite debolmente metamorfica nelle concrezioni di silice opalina che possono essere accostate a quelle rinvenute su Marte». Alla ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista specializzata Scientific Report,
hanno partecipato altri studiosi italiani delle università di Firenze e Genova ed estere. Gli studi saranno estesi ad altre grotte analoghe in Brasile, Sudafrica e Australia.
Il mondo sotterraneo ha un legame con lo spazio. Nelle grotte in Sardegna vengono addestrati gli astronauti di tutte le agenzie spaziali del mondo, dagli europei ai cinesi, dai russi agli americani. Sauro è stato uno dei loro istruttori. «Si è scoperto che vivere per un certo periodo in una grotta porta benefici a chi passa mesi in orbita. E chissà che le nostre scoperte sulle rocce non possano servire per trovare la vita su Marte».