La Stampa, 7 dicembre 2018
L’esotica passiflora, simbolo della passione
Di passaggio a Mombaruzzo, sulle colline dell’Alto Monferrato, non mi sono trattenuto dal provare i famosi amaretti. Golosità foriera di scoperte, anche botaniche: la pasticciera dimostra in modo encomiabile la sua intelligente passione per le piante e davanti al negozio coltiva una piccola, imprevedibile aiuola. Qualche giglio di Sant’Antonio (Lilium candidum), tantissime violette, uno o due «balon» di tasso alla cui ombra fioriscono ancora degli anemoni del Giappone, ma soprattutto una Passiflora caerulea che delimita i bordi, abbarbicata con i suoi viticci su una rete alta due spanne.
Dal Brasile ricco di vivacità ed esuberanze la passiflora ha dovuto fare i conti con il ben noto rigore di noi piemontesi e il risultato è una «siepina» del tutto inusuale, tanto più nelle nostre campagne, dove già solo le bellissime foglie lobate e cuoiose suonano strano, sanno di esotico e forestiero.
Chissà poi durante l’estate, con quei fiori così cerosi e figurativi... Poco per volta l’indole tropicale ha avuto la meglio e qua e là la passiflora si è insinuata tra i rami dei tassi, ricadendo in festoni punteggiati di frutti aranciati grandi come un uovo. Col contesto, è evidente, non ci azzecca e proprio per questo spiazza, diverte, accattiva. Un po’ di follia in giardino toglie la noia. Evviva un po’ di fuori posto, un rompere le righe, abbasso lo scontato, il botanically correct...
La coltivazione
Chi vuole emulare sappia che è più semplice di quanto si potrebbe supporre: la passiflora non è così esigente e concimarla troppo significa favorire il fogliame a scapito dei fiori. Ma sappia anche che vivrà sempre con un filo di apprensione nei giorni di freddo intenso: qui da noi la Passiflora caerulea è al limite, conviene piantarla in pieno sole, a sud, protetta da un muro e pacciamata d’inverno. Può darsi che con il gelo perda le foglie, che si danneggi qualche ramo, ma le radici quasi certamente saranno salve. Una valida alternativa è coltivarla in un grande vaso e ritirarla: pare che la passiflora gradisca trovarsi degli ostacoli sottoterra, che cresca con internodi più corti e perciò fiorisca di più. Tanto che alcuni consigliano, anche in piena terra, di piantarla circondata da mattoni per circa 30 cm in profondità.
Pochi altri accorgimenti sono necessari: un terreno sabbioso e ben drenato, innaffiature abbondanti ma molto distanziate, tra una e l’altra il terriccio deve essere quasi secco, in modo che le radici si spingano dove saranno più protette dal gelo. E una leggera potatura alla fine dell’inverno, accorciando i rami vecchi, quelli già fioriti: i nuovi getti invece non sono da toccare, saranno quelli che porteranno i fiori. Fiori bianchi, la corona tentacolare di un viola acceso, i vistosi stigmi color ametista: valgono certo qualche riguardo, ben sapendo che è l’unica a resistere qui al nord. Scordiamoci perciò la P. edulis, granadilla o maracuja , e le altre a tinte sgargianti: piuttosto si può provare con una varietà in total white, la P. c. Constance Elliott.
Le specie
Esiste poi una specie originaria degli Stati Uniti orientali e quindi più abituata ai freddi: è la P. incarnata, con tinte dal rosa, al lilla, al malva ed una corona arricciata e ancora più fitta. Dalle nostre parti non mi è mai capitato di vederla, ma i cataloghi assicurano che ci si può fidare: la parte aerea va persa d’inverno e le radici carnose e pollonanti assicurano ogni anno velocissime ricrescite. Pare che sia stata questa la prima passiflora conosciuta in Europa, una settantina d’anni prima che la duchessa di Beaufort coltivasse in quel di Badminton la P. caerulea. Erano gli inizi del ’600 e dal Nuovo Mondo arrivarono a Roma i disegni di un fiore mai visto: Giacomo Bosio, nato a Chivasso, romano d’adozione, ex agente dell’Ordine gerosolimitano decaduto per fatti di sangue, non perse l’occasione di tentare un riavvicinamento. Nel suo La Trionfante e Gloriosa Croce descrisse con fervore il Flos Passionis, ridondando di simbologie con il calvario di Cristo: la corona era quella di spine, lo stilo al centro del fiore la colonna della flagellazione, i tre stigmi i chiodi della croce e così via, in una forsennata ricerca di dettagli. L’idea piacque molto, fu utilizzata come catechismo per convertire gli indios. Altro che l’aspetto allegro e voluttuoso dei suoi fiori: per un mondo inquisitorio e dogmatico la passiflora non nascondeva nulla di romantico...