La Stampa, 7 dicembre 2018
Intervista alla scrittrice Lionel Schriver, che ha il ritmo sonno-veglia invertito
Il personaggio è controcorrente. Lionel Schriver, scrittrice americana naturalizzata britannica, è l’autrice di 14 romanzi, tra cui Dobbiamo parlare di Kevin, vincitore dell’Orange Prize nel 2005 e poi film con Tilda Swinton. Sposata con il batterista jazz Jeff Williams, una vita eccentrica tra Brooklyn e Londra, due piccoli appartamenti dove si rifugia la notte a scrivere e il giorno a dormire. Perché tra le altre stranezze di Lionel Schriver c’è anche questa: ha il ritmo sonno veglia invertito. Si alza quando gli altri vanno a letto. La sera, appena cala il buio, quindi appena dopo la sua prima colazione, indossa le scarpe da ginnastica e va a correre. Perché è anche una fanatica dell’esercizio fisico, una routine giornaliera mai interrotta da quando ha 14 anni.
Lionel Schriver non è proprio il tipo di donna comune. Anche i suoi romanzi sono urticanti, perché raccontano spesso la verità che non ci piace vedere. Nell’ultimo libro, I Mandible (ed. 66thand2nd), si seguono le vicende della omonima famiglia dal 2029 al 2047, in un’America devastata dalla guerra, dove il dollaro non vale più niente, la popolazione vive di stenti, l’acqua è un bene raro, la verdura fresca anche, per colpa del cambiamento climatico. Una distopia sulla crisi del ceto medio scritta nel 2016 - prima quindi dell’elezione di Trump - ma che come tutte le distopie racconta l’oggi più che il futuro e lo fa anche con una certa ironia, perché tra Usa e Messico si costruisce un muro, per impedire agli americani di scappare verso Sud. Anche il presidente americano è un messicano.
Dove nasce l’idea dei Mandible?
«Ho fatto un po’ di calcoli. Se vivessi quanto mio nonno paterno, morto a 96 anni, nel 2053 sarei ancora viva. Sono rimasta inorridita. Per quell’epoca credo che tutti i problemi di oggi verranno al pettine e io non vorrei esserci. E ovviamente nasce anche dalla crisi del 2008, quando l’intera economia mondiale è andata vicina al collasso. Così mi sono chiesta: cosa succederebbe se la prossima volta non fossimo così fortunati?».
NeiMandibleci sono tutte le paure del momento: immigrazione, instabilità finanziaria, cambiamento climatico e molte altre. Lei pensa che queste paure alimentano il populismo o ne siano la causa?
«Il “populismo” è solo un timore generato dalla sinistra. Nel romanzo tocco molti più argomenti: diffusione di batteri resistenti agli antibiotici, malattia che colpisce il raccolto di chicchi di caffè arabica in tutto il globo, scarsità di cibo, aumento del debito mondiale, minaccia al giornalismo, pirateria nell’editoria editoriale, e tutto aggravato dal maggiore dei nostri problemi: crescita demografica stupefacente. Non ho inventato io questa roba».
Cosa spaventa di più lei?
«La demografia. Secondo l’Onu, nel 2100 l’Africa avrà 4,5 miliardi di persone. L’Africa non è pronta, né economicamente né politicamente a sostenerle».
Pensa davvero che l’immigrazione sia il tema del nostro secolo?
«Sì, è “il Tema” del secolo. Una buona parte di quei 4,5 miliardi di africani cercherà di andare da qualche parte più gradevole».
E non pensa invece che il tema siano più le disuguaglianze?
«L’ineguaglianza all’interno delle società occidentali non mi turba particolarmente. Moralmente, sono più preoccupata dalla “insufficienza”: persone che non hanno abbastanza da mangiare, accesso all’acqua pulita o alle cure mediche. La grande disuguaglianza che scuoterà il mondo nei prossimi decenni è tra ciò che Thomas Friedman chiama il “mondo dell’ordine” e “il mondo del disordine”. È un modo utile di pensare alla migrazione: persone che fuggono dal disordine verso l’ordine. Ma il primo è molto più grande del secondo».
Nel suo libro, mentre l’America va in bancarotta, l’Ue si scioglie, l’euro scompare e il caos regna sul continente. È uno scenario possibile?
«Non ho mai pensato che l’euro fosse redditizio monetariamente, quindi mi sono divertita a ucciderlo. Nutro anche dei dubbi sulla redditività a lungo termine dell’Ue, che continua a coinvolgere sempre più Paesi, molti dei quali poveri. Mi aspetto che il problema della migrazione divida l’Europa».
Lei passa per una che difende i privilegi dei bianchi. Non pensa che una società più aperta sarebbe migliore per tutti?
«Non ho mai detto che difendo i privilegi dei bianchi. Mai e poi mai. Vengo dagli Usa, passo molto del mio tempo a New York, dove il 40 per cento della popolazione è nata all’estero. Quindi posso dire che vengo da un posto molto tollerante. Ma guardiamola dalla prospettiva di un lettore italiano».
Che differenza fa?
«Mettiamola così. Lei si sentirebbe a suo agio con l’idea che forse gli italiani vorrebbero giustamente poter godere del “privilegio” di vivere nel loro Paese più che, per esempio, i coreani, gli eschimesi o gli argentini? Se l’Italia fosse completamente assorbita da immigrati provenienti dal vicino Nord Africa e dal Medio Oriente, sarei dispiaciuta. Questo perché l’Italia non è solo un luogo su una mappa, ma un popolo con una lunga storia e una ricca cultura. Se trovassi solo falafel, e non pasta o pizza, allora il Paese avrebbe perso qualcosa, non crede? Quindi si può anche dire che mi preoccupo per il “privilegio italiano” o “privilegio bianco”, ma io la chiamo preoccupazione per l’integrità culturale del Paese. Questo è un problema per tutti i Paesi del mondo».
Un’ultima curiosità. All’anagrafe è Margaret Ann. Perché ha cambiato nome?
«In breve, perché lo odiavo e non mi ci sono mai identificata. Ero un maschiaccio e a 15 anni ho scelto un nome che all’epoca era convenzionalmente più maschile. Ironia, a posteriori Lionel è diventato più femminile».