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 2018  dicembre 07 Venerdì calendario

Inchiesta sull’editore Caltagirone

Cemento, mattone, grandi opere e finanza. E a condire il tutto una rete di quattro giornali che regnano da anni su Roma, Napoli, Venezia, Ancona cui si aggiungono il Quotidiano di Puglia e la stampa free press Leggo. Il Messaggero, Il Mattino e Il Gazzettino sono gli alfieri del regno editoriale di Francesco Gaetano Caltagirone, l’“ottavo Re di Roma”, il potente palazzinaro che da sempre è uno degli imprenditori più liquidi d’Italia. Nella sua cassaforte ultima, la holding Fgc che sta in cima allo sterminato ginepraio societario che conta quattro società quotate, da Caltagirone Spa a Cementir Holding fino a Caltagirone editore e Vianini, e un centinaio di partecipazioni non quotate, giacciono più di 830 milioni di liquidità, tra conti correnti e depositi a breve. Una potenza di fuoco formidabile che consente alla famiglia dell’immobiliarista divenuto industriale del cemento e banchiere di dormire sonni tranquilli. Una ricchezza cumulata nel tempo e che vede la finanziaria della famiglia romana governare un piccolo impero: con la Fgc che siede su un patrimonio netto di 1,8 miliardi che arriva a 3,3 miliardi con le quote di terzi.
Il gioiello della corona è la Cementir holding posseduta al 65% dalla Caltagirone Spa, la prima quotata in cima alla catena, controllata a sua volta dalla Fgc con il 54% e dal fratello di Francesco Gaetano, Edoardo con il 33,3%. Il grande produttore di cemento opera ormai in oltre 15 Paesi nel mondo. Da lì viene il grosso del fatturato dell’intero gruppo. Più di 1,1 miliardi di euro con un margine industriale oltre il 20% e che assicura utili per una settantina di milioni. Di recente la società si è sbarazzata delle attività italiane (in perdita) riuscendo a vendere Cementir Italia con un incasso di 315 milioni. I soldi in parte sono stati investiti in un gruppo americano leader nel “cemento bianco” quello a più alta redditività. Cementir ormai fa affari fuori d’Italia. Soprattutto nei Paesi scandinavi e in Turchia, dove il gruppo pagherà dazio quest’anno alla svalutazione della lira turca. L’altro braccio quotato è la Vianini Spa che ha assorbito le attività di Domus nella gestione immobiliare. Poca cosa in termini di ricavi, così come la Vianini Lavori delistata qualche anno fa che lavora nelle commesse pubbliche. Ha quote nel Consorzio per la Metro C di Roma, così come le aveva per la Metro B. Fatturato che gira attorno a 140 milioni di euro con utili per 14 milioni e zero debiti. Non male dato che l’intero comparto dei grandi contractor è nel ciclone di una crisi senza precedenti. Ma la grande ricchezza, oltre a Cementir, e poco visibile perché distribuita nel grande ginepraio delle decine e decine di società non quotate del gruppo è il portafoglio immobiliare, la genesi della famiglia romana.
Nel bilancio consolidato della Fgc Spa, quella che ha cassa liquida per oltre 800 milioni e patrimonio netto per 1,8 miliardi ecco spuntare gli immobili di pregio. Da via Barberini a via Nazionale, a via del Corso, a via Bissolati fino a due grattacieli nel centro direzionale di Napoli. I palazzi di prestigio del centro di Roma sono dei Caltagirone che li hanno a bilancio per 1,5 miliardi. L’altra grande passione del 75enne capostipite è la finanza, o meglio le banche. Il Caltagirone banchiere è stato un po’ ovunque. Ha assaporato il profumo delle banche nella stagione dei furbetti del quartierino con l’assalto alla Bnl. L’Opa francese gli regalò una maxi-plusvalenza di oltre 300 milioni. Investiti poi in Mps. Nella banca senese Caltagirone era azionista di peso e vicepresidente durante la sciagurata gestione Mussari. Uscirà dalla banca a inizio del 2012 con pesanti perdite. Adocchia poi Unicredit dopo l’amara vicenda Mps. Entra nel capitale con uno degli ennesimi aumenti, finirà per perdere 42 milioni, uscendone.
Ora la nuova passione si chiama Generali. Caltagirone è in realtà entrato nel Leone da tempo e dal 2010 ne è vicepresidente. Ora però ha schiacciato l’acceleratore: ha comprato per tutto il 2018 piccoli pacchetti ed è titolare di una quota ormai vicina al 5%. Con lui Del Vecchio e i Benetton che insieme al vecchio Calta insidiano Mediobanca primo azionista con il 13%. L’investimento è di circa 1 miliardo e il patriarca sa che ogni anno porterà a casa oltre 60 milioni di soli dividendi. E poi il piede dentro l’Acea, il forziere del Comune di Roma dove i Caltagirone posseggono ora il 5% del capitale dopo aver girato una loro quota ai francesi di Suez di cui sono a loro volta divenuti azionisti con il 3,9% destinato a salire al 6%. Che ci fa la famiglia nel capitale dell’Acea posseduta al 51% dal Comune? Anche qui la caccia è al dividendo, ma si sfrutta anche il peso politico di una partecipazione pubblica.
Dentro a tutto ciò, o meglio fuori, c’è la Cenerentola dei giornali. Il business è ovviamente gracile: la Caltagirone editore vede il fatturato scendere ogni anno. A fine 2017 i ricavi erano a 144 milioni con margine industriale nullo e una perdita per 29 milioni. Nel 2016 la perdita è stata di 62 milioni. Oltre 90 milioni bruciati per i ricavi in calo e soprattutto le svalutazioni delle testate. Il Gazzettino è stato svalutato da solo per 28 milioni, Il Messaggero è in carico a bilancio per 90 milioni e tutte le testate sono valutate poco più di 200 milioni. Valori che rischiano di essere troppo elevati data la congiuntura pessima. Eppure il partito dei sindaci ha sempre da temere dai giornali della casa. Ne sa qualcosa Ignazio Marino a Roma o il fuoco di sbarramento iniziale sulla Raggi.
O l’atteggiamento non certo tenero con De Magistris. Quando c’è in ballo un piano urbanistico nelle città dove Caltagirone ha la sua sfera d’influenza, o quando c’è da fare la guerra ai Parnasi di turno (sui cui terreni dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma) ecco che avere i primi giornali di Roma, Napoli e Venezia ha il suo peso. Per Caltagirone i costi quanto a perdite dei suoi giornali sono noccioline rispetto al ruolo che svolgono. Ma pur sedendo su liquidità per oltre 800 milioni, quando c’è da ristrutturare i giornali con esuberi e prepensionamenti pagati dallo Stato ecco che i giornali di Calta sono sempre in prima fila a chiedere stati di crisi ed esuberi. Forse il Re Mida se li potrebbe pagare da solo, senza andare col cappello in mano a bussare a Inps e Inpgi.