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 2018  dicembre 07 Venerdì calendario

Rischio rifiuti in Emilia

Forse la prima a cadere sarà una delle regioni più moderne e meglio attrezzate, l’Emilia Romagna. Anzi, forse proprio per questo, per la sua modernità ed efficienza, l’Emilia Romagna potrebbe essere il termometro più sensibile e accurato dell’emergenza rifiuti verso cui l’Italia sta correndo con passo bersagliero. Il 21 ottobre questo giornale aveva avvertito che ci si avvicina con velocità verso la crisi della spazzatura, e a quanto dicono diverse aziende emiliane e romagnole di gestione e selezione dei rifiuti c’è già una data ipotetica. Non succederà ma – leggendo la temperatura “ruscometrica” – in teoria il 10 dicembre, lunedì prossimo, in Emilia Romagna potrebbe fermarsi il meccanismo ben rodato della raccolta differenziata. Non succederà il 10 dicembre come pronosticato dalle aziende del settore. Ma l’emergenza sta arrivando davvero.
L’allarme delle imprese 
In ottobre le imprese emiliane e romagnole dei rifiuti avevano lanciato un appello. Il documento congiunto era firmato a Bologna dalle organizzazioni regionali di Confservizi-Utilitalia, Confcooperative, Legacoop, Cna, Confindustria Emilia Romagna e Confartigianato. La lettera diceva che, per le regole che paralizzano sia gli impianti sia il mercato, i rifiuti e i materiali da rigenerare non trovano destinazione e si accumulano nei capannoni e nelle linee di trattamento, selezione e riciclo. Gli impianti sono pieni a tappo. Bisogna autorizzare con urgenza l’aumento degli stoccaggi “istantanei” e “temporanei” degli impianti, che hanno già superato le quantità autorizzate. Nelle scorse settimane si sono svolti incontri concitati in Regione con i dirigenti e i funzionari dei diversi settori interessati (quelli che rilasciano le autorizzazioni Aia agli stoccaggi di rifiuti, quelli che seguono la gestione della spazzatura e così via). L’assessora regionale all’Ambiente Paola Gazzolo ha rilasciato al Sole24Ore una dichiarazione lunga ma fumosa che comincia con «Abbiamo ben presente il problema e siamo al lavoro per arrivare il prima possibile a una soluzione che garantisca le nostre imprese», passa per «scenario al quale si aggiunge la totale assenza di strategia da parte del Governo» e finisce con «intendiamo comunque garantire alle nostre aziende le necessarie condizioni per poter operare».
Problema rifiuti speciali 
Secondo le imprese ambientali dell’Emilia Romagna, il problema riguarda i rifiuti prodotti dalle imprese (quelli definiti speciali), circa 8,5 milioni di tonnellate. 
Dicono diverse cose. I centri di stoccaggio sono ormai pieni all’orlo. Le aziende hanno crescenti stock di rifiuti da smaltire, anche in conseguenza del blocco operato dagli intermediari di rifiuti, che a loro volta, per effetto delle limitate capacità di deposito autorizzate, per non rischiare sanzioni respingono le richieste delle imprese. Costi di trattamento in forte aumento e per talune tipologie raddoppiati. Deficit di capacità per il recupero energetico e lo smaltimento. Crescenti difficoltà a realizzare impianti di smaltimento già pianificati. Complessità degli iter di autorizzazione per realizzare impianti di riciclo e di recupero di rifiuti speciali.
Che cosa succede in Italia 
Il problema non è solamente dell’Emilia e della Romagna. E non riguarda solamente i rifiuti delle aziende. Il problema è assai più vasto, riguarda tutta l’Italia – per esempio la Sicilia che respinge sdegnosa la realizzazione di inceneritori e predilige le discariche è davanti a una crisi assai più grave – ed è figlia delle velleità ideologiche sui rifiuti, quelle descritte qualche giorno fa alla presentazione dell’edizione 2018 del Rapporto Nimby Forum. 
Le raccolte differenziate marciano a tutta forza, i cittadini e le imprese dividono con precisione carta, plastica, vetro e gli altri materiali. 
Ma normative lisergiche e sentenze contromano impediscono il riutilizzo dei materiali rigenerabili, come nel caso delle regole end-of-waste paralizzate da una sentenza e il cui sblocco è stato promesso dal ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. 
Nel frattempo i comitati del no, i cosiddetti nimby, paralizzano il riciclo: no agli impianti di biogas che ricavano metano dai rifiuti, no alla cartiera di Mantova che potrebbe far decollare il riciclo solamente se può riaccendere l’inceneritore di servizio, no ai termovalorizzatori che servono a completare il ciclo della raccolta differenziata, no al riciclo agricolo dei concimi ottenuti dai depuratori.
Intanto in luglio la Corte di Cassazione ha rinviato alla Corte Europea la decisione sulla beffa dei “codici a specchio”: procure inferocite e consulenti arrabbiati considerano “pericolosi” tutti i rifiuti, paralizzandone il riciclo e mettendo sul lastrico aziende e dipendenti. 
Infine, manca il mercato dei prodotti rigenerati. Le gare di appalto delle pubbliche amministrazioni dovrebbero per legge imporre l’uso di materiali riciclati, ma non accade. E quasi tutti i consumatori respingono con sdegno i prodotti rigenerati pensando che siano di qualità peggiore. 
Per saperne di più 
Il tema sta muovendo molte iniziative in una delle città, Roma, più esposte. Dopo il Libro Bianco Confindustria sull’economia circolare, lunedì 10 dicembre l’Ispra presenterà la nuova edizione del fondamentale Rapporto Rifiuti Urbani, giovedì 13 dicembre la Fondazione Ottimisti e Razionali dibatterà «La questione rifiuti tra mito e realtà» e venerdì 14 dicembre nella sede della Confindustria in viale dell’Astronomia si terrà il convegno sui «Criteri ambientali» promosso dalla Cisambiente.