La Stampa, 6 dicembre 2018
Viaggio nel Parco di Ranthambore, l’ultima riserva delle tigri indiane
Si parte all’alba sperando di essere i soli, e ci si ritrova in poco tempo ingolfati con altre decine di jeep e camionette scoperte per le stradine del tipico paesotto indiano cresciuto a mezzo metro d’altezza sul rigolo di acqua lurida che scorre alla base delle casupole squadrate. Non molto sembra cambiato dai ricordi di Moravia e Pasolini dei primi Anni 60. La strada, malamente asfaltata, vede svegliarsi una comunità di uomini, cinghiali multicolori, dromedari e elefanti addobbati, cani, capre e mucche che si appresta a mercanteggiare le solite povere cose, mentre una truppa di turisti fortemente motivati sferraglia suonando attraverso il paese.
La curiosità
Dopo mezz’ora dalla partenza sembra che l’intero flusso turistico del Rajasthan, e una buona parte di indiani provenienti da tutto il sub-continente, si sia dato convegno a Ranthambore. Con un unico scopo, vedere la tigre.
Il parco, istituito nel 1955, era, in realtà, la riserva del maharaja che veniva qui, appunto, per cacciare la tigre. In ogni albergo o resort ci sono foto in bianco e nero di quelle carneficine, con le tigri calpestate e dominate in curiose posizioni irreali. Oggi la superficie complessiva di tutta la riserva arriva a 1300 kmq e non è poco, se si pensa che la regione è abitata e intensamente coltivata fino a ridosso del muro di pietra che ne delimita in confine: Jaipur è a soli 100 km. Si dice che questo sia uno dei luoghi dove è più facile avvistare le tigri in natura (ne sarebbero censiti fra 40 e 50 esemplari), ma è difficile crederlo, visto l’assembramento di mezzi carichi all’inverosimile, la confusione e il chiasso che li precede. E, invece, appena entrati, risaltano sulla sabbia le prime impronte, gigantesche, della tigre al lato della pista. Anche se, per la maggior parte dei visitatori questo sarà il massimo che riusciranno a vedere del grosso felino ormai in via di estinzione. Ai più non saranno sufficienti nemmeno tre safari per avvistarla.
Il bracconaggio
Dall’inizio del Ventesimo secolo la popolazione e l’areale di distribuzione delle tigri si sono ridotti del 95%, a causa del bracconaggio dilagante e della distruzione degli habitat. Nel 2010 la popolazione mondiale ha raggiunto il minimo storico di circa 3200 esemplari (oggi siamo a 3890), spingendo 13 governi a lanciare, con il Wwf, il «TX2», un progetto che vuole raddoppiare il numero delle tigri in natura entro il 2022. Nelle principali aree dell’Asia si potrebbe passare da 165 a 585 individui, a patto però di realizzare azioni efficaci nelle attività anti-bracconaggio e nel mantenimento delle prede, necessarie alla sopravvivenza dei grandi carnivori. Per ottenere questo ci vogliono una forte volontà politica, una governance reattiva, investimenti e un supporto pubblico, ma il prerequisito necessario per l’aumento delle tigri è l’incremento o il mantenimento delle prede, mentre sistemi necessari a ridurre il rischio di conflitti tra umani e fauna selvatica sono essenziali per garantire una convivenza sicura tra le popolazioni di tigri selvatiche e le comunità locali. È, su altra scala, la stessa storia di conflitti che si registra in Italia attualmente per i lupi: sono apparentemente simboli di grande valore per tutti, ma non devono creare problemi. Cioè, in realtà, la devono smettere di essere quello che sono e diventare animali domestici.
Il turismo
Eppure non si tratta solo di un evidente vantaggio ecologico, ma anche economico, se si pensa che nella sola area di Ranthambore sono migliaia i lavoratori che traggono vantaggio dai turisti in cerca della tigre. E che un safari costa dai 90 euro in su. Oggi una nuova strada minaccia la residua tranquillità del parco e la pressione dei sapiens è crescente, ma se c’è un posto dove questi magnifici animali possono resistere è proprio l’India, dove il tradizionale rispetto per le anime del mondo riguarda anche quelle dei felini. La tigre era un feroce nemico per Kipling o per i maharaja, non per il popolo degli indiani, nonostante i problemi e addirittura i drammi del passato: Shere-Khan non aveva poi tutti i torti a cercare di impedire che Mowgli diventasse un uomo.
L’avvistamento
Intanto, nei pressi di un corso d’acqua la camionetta si ferma di colpo in colonna con le altre: nel controluce nebbioso del mattino, quando si erano perse le speranze, una testa di tigre appare in silhouette lontana, mentre il resto del corpo rimane completamente immerso in acqua. Nel silenzio assoluto che si è improvvisamente fatto, la tigre volta lentamente l’enorme capo a guardarci distratta e, terminate le abluzioni (le tigri amano l’acqua, contrariamente a quanto si crede), si alza, si scotola e pigramente si allontana attraversandoci la strada e passando proprio sotto le jeep. Un magnifico individuo maschio che peserà più di 300 kg, tranquillo, rilassato e per nulla infastidito. E una cinquantina di persone esterrefatte. Poco più in là i campi arati oltre il muro. In quella fila ho passato i dieci minuti più emozionanti della mia vita. La convivenza è possibile, che ci vuole?