Il primo incontro di Stefania Sandrelli con Bernardo Bertolucci, quattro film e un’amicizia longeva, si perde nel tempo. «Conoscevo tutta la famiglia di Bernardo: il padre Attilio, la mamma Ninetta, il fratello Giuseppe, il cugino Giovanni.
D’istinto Bernardo mi piaceva, era attraente: così colto, per me che ero una ragazza venuta dalla provincia alla ricerca del bello. Casualmente lui girava Partner, mi disse "dieci giorni di riprese random, un film senza mezzi". Lo feci gratis. Sul fronte artistico l’avevo conosciuto ai tempi di Prima della rivoluzione.
All’epoca stavo con Gino Paoli, che firmava le musiche. Passavamo intere giornate in saletta di montaggio: quelle riprese compiute, sinuose mi affascinavano».
Che set fu "Partner"?
«Caotico. Con Bernardo ridevo spesso, ero curiosa degli attori.
Avevo legato con Sergio Tofano, mi piacciono le persone anziane. Era ligio al dovere, ironico, faceva un autista, che nei film di Bernardo hanno sempre avuto ruoli significativi. Tina Aumont era calda, esuberante. Legammo molto anche se non sapevo delle sue vicissitudini: ero astemia, morigerata, senza sovrastrutture.
Pierre Clémenti era sempre accigliato, un’entità aliena.
Sembrava un automa, era uno confuso nel ruolo e nella vita. Ma era bello».
E poi "Il conformista".
«Giovanni, riconoscente per
Partner, stavolta mi fece avere una paga vera. Lì ho conosciuto Jean-Louis Trintignant e Dominique Sanda. Quando lo scorso inverno mi hanno fatto un omaggio alla Cinématèque di Parigi lei, che vive in Sudamerica, mi ha mandato una lettera bellissima, l’affetto è immutato».
Bertolucci raccontò che quando Sanda arrivò sul set lei pianse perché non era più l’unica donna.
«Abbiamo parlato con Bernardo di questa cosa. Sinceramente, non la ricordavo. Probabilmente in realtà ero preoccupata per lui, speravo non fosse rapito dalla bellezza di Dominique e riuscisse ad avere lucidità e misura. In Io ballo da sola Liv Tyler era una bomba, ma il ruolo lo richiedeva. Mentre quella di Dominique era una bellezza che non contava nell’economia del film. Volevo presumibilmente e presuntuosamente metterlo al riparo. Se ho avuto una reazione inopportuna è stato forse per questo, mi viene in mente rileggendo la cosa dalla giusta distanza».
Fu un bel set?
«Sì. Un freddo boia, con le calze velate e il décolleté del personaggio borghese. Andavamo a cena a Parigi, tornavamo a piedi, molto coperti. La scena rimasta impressa? Quella al ristorante cinese, noi quattro al tavolo, la Mitchell enorme che imperava tra noi. Una scena tostissima girata tra sakè e bastoncini, con discussioni decisive per la vita dei personaggi. Il mio era l’unico a non rendersene conto. Mi ero esercitata con le bacchette, ma quando prendo il boccone e intingo nella salsa, e sono in primo piano, cade tutto l’ambaradan. Prima rimango gelata, poi inizio a ridere, penso "ora Bernardo darà lo stop", invece no. Guardo Dominique impietrita che batte i denti e trema. Io rido ancor di più, mi verso il sakè, fingo di essere ubriaca, dico che il ristorante sembra il vagone di un treno "mamma mia ho bevuto", mi siedo, mi alzo, improvviso.
Quella scena è nel film».
Bertolucci la chiamava l’attrice di Germi.
«Un regista che amava moltissimo. Mi divertiva quel soprannome, ma poi pian piano sono diventata anche un po’ sua».
L’avventura di "Novecento" inizia con una lunga telefonata.
«Sì. Bernardo mi racconta dei problemi produttivi. Io parto e arrivo da lui: mi trovo davanti un corridoio lungo da cui arriva una musica. Mi accoglie in silenzio.
Restiamo a lungo in silenzio ad ascoltare, usciamo senza dire niente. Ci legava l’amore per la musica, e quello per i rispettivi fratelli. Lui parlava di Giuseppe, con cui ho fatto due film, io del mio».
Com’erano Bernardo e Giuseppe sul set di "Novecento"?
«Non perdevano mai l’aplomb, erano affiatati, ridevano. Anch’io ho amato il mio fratellone Sergio.
Io e Bernardo parlavamo delle rispettive famiglie. Lui aveva un grande padre grande poeta, io ero orfana del mio, che conoscevo meno del suo. Quando mi fido di una persona, di un autore, mi affido. Questa fiducia l’ho imparata dal mio fratellone, quando ragazzina ero con lui in spiaggia a Viareggio diceva "Vieni Stefania ti porto al largo". Mi è tornato utile sapermi affidare, nel mio lavoro, scegliendo d’istinto le persone giuste».
Fu un set pieno di divi.
«Era come stare al cinema.
Depardieu lo conoscevo, De Niro vinse l’Oscar per Il padrino a fine riprese. Il mio preferito era Sterling Hayden, arrivò sul set in moto, sembrava un giovanotto. Mi piaceva guardare i giornalieri, andare poi a cena tutti insieme. Ma le chiacchiere più belle le abbiamo fatte su set di Io ballo da sola.
Ricordo una volta, non finivamo più, tutti seduti in circolo a parlare, parlare. Bernardo non avrebbe voluto smettere mai. L’unica volta che l’ho visto piccato in vita mia: si stava godendo talmente la compagnia, che in quel momento avrebbe potuto impedire al sole di sorgere. Invece albeggiava, noi eravamo distrutti e io sorniona dissi "Bernardo, mica sei dio, ci devi stare". Mi alzai e lui mi seguì a fatica, ma borbottava...".
Com’era Bertolucci con le attrici? La vicenda di Maria Schneider e "Ultimo tango" lo aveva molto amareggiato.
«Ha addolorato molto anche me.
Conoscevo Maria, ho fatto con lei anche un altro film ( Io sono mia, ndr). Era una "pazzerellona", incontenibile, veniva a chiamarmi in piena notte, svegliando anche mio figlio che era piccolo.
Sicuramente il ruolo e la notorietà arrivata così giovane l’hanno segnata. Credo che la sua vita l’abbia tradita e voglio essere solidale con lei, che avrà sofferto grandi dolori per Ultimo tango.
Ma il Bernardo che ho conosciuto io era corretto, affettuoso, intelligente. Amava le donne in modo totale. È stato lui a convincermi a fare La chiave di Tinto Brass: "Devi vincere la resistenza, è un ruolo magnifico per un’attrice". La vendetta di una donna verso un marito che giocava sporco: non un film femminista, certo, ma con un discorso femminile interessante, di libertà».
Cosa le mancherà di più?
«Tutto. Ha fatto parte della mia vita. I momenti più belli, le confidenze più profonde ce le siamo fatte durante le pause dei set, quando eravamo soli. Oggi guardo le foto in cui eravamo giovani e penso: "Accidenti eravamo davvero belli, tutti e due". Ma per me Bernardo era bello anche adesso, con quegli occhi da bambino che non sono cambiati mai».