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 2018  dicembre 05 Mercoledì calendario

Niente nozze, tasse volontarie e veto sui politici: l’utopia di Liberland finisce al Parlamento europeo

È grande quanto Gibilterra, e vuole essere come il Liechtenstein. È in Europa, ma ne rifiuta le regole ed è pronta a sfidarle, chiamando a raccolta gli euroscettici di tutto il continente. Per qualcuno Liberland è uno scherzo, ma non lo è. La micro-nazione auto-proclamatasi indipendente il 13 aprile 2015 rischia di innescare dinamiche dalla difficile prevedibilità e gestione, con i sovranisti decisi a farne bastione delle proprie idee. 
Un territorio di sette chilometri quadrati in un territorio conteso tra Croazia e Serbia ma al tempo stesso non voluto da nessuna delle due parti ha portato Vít Jedlička, cittadino ceco già presidente della formazione euroscettica Partito dei cittadini liberi, a piantare la bandiera su questo territorio e proclamare la nascita di Liberland, Stato non riconosciuto fino a oggi ma che gli esponenti del Partito libertario britannico hanno deciso invece di legittimare con tanto di invito ufficiale in Parlamento europeo. 


Liberland e la questione serbo-croata  
Liberland, la repubblica della libertà, sorge in un territorio oggetto di contestazioni. Dopo la guerra di Jugoslavia gli Stati che ne sono conseguiti hanno iniziato a ridisegnare i propri confini. Serbia (candidata all’Ue) e Croazia (Stato membro dell’Ue) non hanno ancora finito. Belgrado considera il corso naturale del Danubio la linea di demarcazione delle due repubbliche, Zagabria rivendica porzioni di territorio al di là del fiume, e ritiene come serbe alcune aree al di qua dello stesso corso d’acqua. Data la diversa lettura della mappa geo-politica, per Belgrado Liberland non sorge su territorio serbo poiché parte della Croazia, per Zagabria non fa parte del territorio croato perché ricadrebbe sotto giurisdizione serba. 
«È una terra nullius», una terra di nessuno, sostiene il presidente di Liberland, Vít Jedlička. «Non compare né nel catasto croato né in quello serbo». Questo, spiega, «agevola enormemente le cose» nel tentativo già in corso di ottenere un riconoscimento internazionale. «Non siamo separatisti», tiene a precisare. È convinto che col tempo si avrà une legittimazione internazionale, e in tal senso attività sono già in corso. «Siamo in uno stadio molto avanzato con alcuni Paesi, ma non posso dire quali». 
Però c’è l’Unione europea. La Croazia ne fa già parte, la Serbia ha chiesto di entrare. Servirà il via libera unanime, e i croati con ogni probabilità porranno la questione delle frontiere. È vero che per la Serbia la micronazione di Liberlandia non interferisce con il confine che considera come quello nazionale, ma i croati, che attualmente amministrano il territorio ritengono che lo stesso debba essere oggetto di arbitrato e dovrebbe essere assegnato alla Croazia o alla Serbia, e non a una terza parte. 


Bitcoin ed elezioni on-line  
Liberland non pone questioni solo nei Balcani. Porta con sé punti interrogativi per il suo futuro e quello dell’Europa tutta. Il governo, secondo le regole che ha concepito il fondatore e primo presidente della per ora autoproclamata repubblica, va eletto a suffragio universale diretto telematico. Elezioni on-line, su modello estone e anche sul modello già sperimentato in Italia con il popolo della rete.  
Le valute nazionali? Forse. Molto meglio bitcoin o affini, ma la moneta unica giammai. «L’euro può essere stampato quando si vuole, sulla base di fiducia, e abbiamo visto come abbia fallito questa politica», dice Vít Jedlička. Non ne fa una questione sull’euro. «Abbiamo visto in passato la crisi del marco tedesco, la crisi della moneta venezuelana. Noi siamo per le criptovalute». 
Le monete digitali però sono già state bocciate dal presidente della Bce, Mario Draghi, e non tutti gli Stati membri sembrano essere pronti a ripensare l’economia tradizionale. «Però Malta è in prima linea sull’utilizzo di criptovalute, e fuori dall’Europa – ricorda Jedlička – c’è la Cina che ne fa uso».  


La sfida all’Ue col sostegno dei sovranisti  

Liberland è la terra degli anti-sistema, e il suo ideatore non lo nasconde. «Abbiamo creato questo progetto perché ci siamo resi conto che il sistema politico attuale è concepito per non essere cambiato, e noi riteniamo che il modo per riuscire a farlo sia fornire nuovi esempi». Ecco allora il modello: un governo minimalista, che non entra nella vita dei cittadini («non si disciplina il matrimonio a Liberland», viene spiegato), le tasse si pagano su base volontaria e non c’è accanimento fiscale («non siamo un paradiso fiscale, ma abbiamo un sistema fiscale paradisiaco»), la maggioranza dei cittadini può porre il veto sulle decisioni del governo che non piacciono («ci ispiriamo al modello svizzero»). 
Il modello sembra funzionare. Nel corso del temo ha raccolto simpatie e sostegno di esponenti del partito croato Muro vivente, del partito polacco Kukiz ’15, del Partito libertario spagnolo (quest’ultimo senza rappresentanza parlamentare, però), e adesso del partito libertario britannico, con tanto di invito ufficiale in Parlamento europeo. Si tratta di formazioni fortemente euroscettiche, considerate come fonte di populismi. Liberland porta dunque con sé insidie per l’Europa. Nel 2016 il ministro degli Affari europei, Miro Kovac, aveva avvertito che «questa idea provocatoria ha raggiunto dimensioni serie». Dimensioni da Parlamento europeo, oggi. E da Associazione europea di libero scambio (Efta), confida Jedlička. «Per il futuro non vogliamo l’Ue, riteniamo che l’Efta sia un’organizzazione che funzioni molto bene».