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 2018  dicembre 05 Mercoledì calendario

Intervista a Katharina Kubrick, la figlia di Stanley Kubrick

Kubrick, il genio assoluto del cinema. “Sì, forse. Ma soprattutto il mio adoratissimo papà”. Fra un boccone e un bicchiere di vino, Katharina condivide generosamente un patrimonio inestimabile: il ricordo personale del “patrigno” Stanley, che l’ha sempre considerata una propria figlia quando da piccola è arrivata a casa Kubrick con mamma Christiane, la seconda (e definitiva) moglie del grande cineasta americano. A quasi 65 anni portati benissimo, Katharina Kubrick è a Milano in qualità di giurata del Noir in Festival, dove si è fatta intervistare, ha tenuto una masterclass pubblica, ma soprattutto ha risposto sul suo (a dir poco) ingombrante genitore. “Perché mio padre anche questo mi ha insegnato, a condividere il meglio che la vita ti ha dato”. E il bene più prezioso che lei poteva condividere si chiama Stanley Kubrick, né più né meno. Un uomo e un artista il cui universo iniziava e finiva in famiglia.
Come sua madre, lei è anche un’artista (scenografa, pittrice, arredatrice..) e ha dipinto il ritratto della gatta Polly che appare in Eyes Wide Shut, è così?
Certo, gliel’ho regalato per il suo sessantesimo compleanno. Lui adorava Polly, temeva potesse morire perché era anziana, ed essendo molto superstizioso aveva paura che se fosse mancata prima della fine del film questo sarebbe andato malissimo. Chiaramente la gatta ha resistito, io l’ho ritratta e papà era così felice del regalo che per ringraziarmi ha deciso di metterlo in evidenza nel film.
Lavoro e famiglia, dove iniziava l’uno e finiva l’altra?
Questa domanda mi aiuta a sfatare il mito di un Kubrick divorato dalle ossessioni, disumano e quasi “demoniaco”. Niente di tutto questo. L’ho sempre detto, ma nessuno sembra ascoltarmi. Per mio padre era fondamentale avere attorno la sua famiglia, cioè mia mamma, noi tre figlie, i gatti e i cani. Per questo allestiva il lavoro in casa. Anzi, quando poteva si portava la casa dentro i set: l’esempio arriva da Eyes Wide Shut, il film che lui considerava il suo migliore e più complesso, perché la casa di Tom (Cruise, ndr) e Nicole (Kidman, ndr) era arredata con oggetti di casa nostra. C’erano i divani, le sedie, e naturalmente i quadri, incluso il mio ritratto di Polly. Stanley ci voleva sempre vicine, era amorevolmente protettivo, adorava danzare con mia madre per casa circondato dai cani scodinzolanti, teneva in braccio la gatta mentre montava i film, gli piaceva cucinare specie dopo che era diventato vegetariano e si era inventato ricette assai “speciali”. La nostra era una family circus sempre coinvolta nei film, anche perché lavoravamo gratis! Che vi piaccia o no, era il miglior uomo di famiglia che io abbia conosciuto.
Qual è il regalo più prezioso che le ha fatto, umanamente e professionalmente parlando?
La passione e la precisione in ogni cosa che faccio. Ma anche a non sprecare il tempo con attività noiose. Mi diceva: “Devi provare gioia in quello che fai, altrimenti lascia perdere”. Queste erano le sue ossessioni vere, ecco perché per me la parola “ossessione” ha una connotazione positiva.
Lei ha iniziato a lavorare con lui su Barry Lyndon, continuando su Shining, Full Metal Jacket per concludere con Eyes Wide Shut…
Ricordo che il mio “esordio professionale” – se così vogliamo definirlo – con Barry Lyndon avvenne solo perché avevo 19 anni e papà non voleva lasciarmi da sola a Londra, essendo il set in Irlanda. Dunque mi ha portato con la famiglia e mi ha assegnato varie attività, fra cui la fotografa di location. Ricordo come manovrasse gli obiettivi sulle luci naturali, sembrava un mago, ma soprattutto ricordo come gestiva gli attori che talvolta arrivavano post sbronza – o proprio ubriachi – sul set, che non riuscivano a volte a ricordare neppure il proprio nome: diventava furioso, li guardava diritto negli occhi e loro si vergognavano come ladri.
Cosa direbbe oggi Stanley del decadimento culturale e di valori ormai diffuso?
Sarebbe un uomo depresso. Non sopporterebbe di vedere come siamo caduti in basso, un Occidente senza valori e piegato all’estinzione, i politici che non fanno più politica. Ma d’altra parte lui lo sapeva, nel suo cinema regna il sentimento dell’autodistruzione che in Eyes Wide Shut tocca le vette più acute e dolorose. Per quanto fosse intimamente un ottimista, sapeva che l’umanità era destinata ad annientarsi, forse e purtroppo aveva ragione.