la Repubblica, 5 dicembre 2018
Vita da Oscar
Il Nobel è un uragano. «La mia vita in questi giorni è un tornado» si sfoga Frances H. Arnold, fresca vincitrice per la chimica. «Sto organizzando il viaggio per Stoccolma con 50 familiari, amici, ex studenti». Il banchetto reale e la consegna dei premi, nella capitale svedese, sono previsti per il 10 dicembre. «Poi, quando le cose torneranno normali (ma torneranno normali?) sogno di raggiungere la mia casetta di legno sui monti San Gabriel, sopra Pasadena», dice Arnold. «Lì mi fermerò a guardare la valle e il torrente come si faceva cento anni fa. Niente elettricità, niente cellulari».
No, le cose non tornano normali dopo un Nobel. La vita quotidiana – che già prima, per un grande scienziato, è un rebus a incastri – ne esce sconvolta. Lo confermano i vincitori del passato. «Ancora ricevo cinque inviti a settimana», allarga le braccia Arthur McDonald (Fisica, 2015). «Io ne ricevo due al giorno, e sono passati due anni» ribadisce Jean-Pierre Sauvage (Chimica, 2016). «Quando è successo mi consideravo già al 98% in pensione. So che prima o poi il mondo si dimenticherà di me, ma credo che resterò indaffarato fino alla fine della mia vita», dice ironico ( ma soddisfatto) William Campbell ( Medicina, 2015). «È anche colpa mia, potrei dire di no. Ma molti inviti arrivano da amici o persone alle quali devo un grazie. Ci sono legami che non possono essere rotti». La scienza, quasi sempre, è ormai un’avventura di gruppo e di rapporti umani di lungo corso. «Col tempo sono diventato più bravo a dire no. Ma molte delle proposte mi interessano davvero», aggiunge Barry Barish ( Fisica, 2017). «Lavoro 12 ore al giorno. Meno che in passato. Ma da quando ho avuto il Nobel il tempo non mi basta mai per pensare alla scienza», si rammarica Takaaki Kajita ( Fisica, 2015). «Io respingo la maggior parte degli infiniti inviti che ricevo ( e le domande dei giornalisti)», scherza Andre Geim ( Fisica, 2010). «La scienza è una sfida intellettuale. Continua ad attirarmi molto più dei discorsi in pubblico». In questa situazione, trova però Joachim Frank (Chimica, 2017), non mancano gli aspetti positivi: «La gente ti perdona se non ricordi il loro nome. Un premio Nobel, nell’immaginario comune, è sempre un po’ carente sul lato sociale».
È una vita complicata, quella dei vincitori del premio più prestigioso per la scienza. Ma lungi da loro l’idea di lamentarsi. «La nostra disciplina è divertimento» dice Barish. «Non ho orari regolari, la ricerca pervade la mia vita. Insegno, partecipo a riunioni e conferenze a distanza, faccio discorsi, porto avanti i miei lavori o imparo dai lavori degli altri». Per Campbell «la distinzione tra lavoro e gioco a volte si perde. E quando hai il sospetto che i tuoi esperimenti siano un po’ folli, vuol dire che sei sulla strada giusta». Concorda Gérard Mourou, fresco vincitore per la Fisica (anche lui in volo per Stoccolma). «In laboratorio arrivo la mattina alle otto. Una volta alla settimana riunisco il mio gruppo per impostare il lavoro». Ma qui finiscono le regolarità: «A volte torno a casa e penso ancora alle questioni del laboratorio. Sì, mia moglie se ne accorge. Un po’ si lamenta, anch’io lo farei al suo posto». Rainer Weiss (Fisica, 2017) considera il Nobel solo la ciliegina sulla torta: «A guidarti, nella ricerca, è sempre il piacere, insieme ai buoni amici che si uniscono a te lungo la strada. Il riconoscimento dà soddisfazione, ma non è quello a darti la spinta». Spiega Sauvage che la scienza è fatta di «persone, sentimenti, passioni, conflitti e amicizie. È difficile scindere questi aspetti. Aggiungerei altri due ingredienti: serendipity e incontri casuali. Può darsi che una persona conosciuta in un corridoio diventi il tuo collaboratore più importante o che l’idea giusta arrivi da una conversazione casuale». Proprio come nella vita.
E la “vita da Nobel”, per Frank, è in fondo divertente: «È come un’osmosi che sfida il tempo. Il premio offre a tutta la tua vita, inclusa quella personale, un’aura che non verrà più spazzata via. Tutti si interessano a ciò che pensi in campi che non hanno nulla a che fare con quel che hai studiato». Barish ha avuto la stessa impressione: «Io mi occupo di onde gravitazionali. Ma poiché ho vinto il Nobel, la gente trova autorevole quel che ho da dire, per esempio, sul cambiamento climatico. Con il tempo ho cominciato a prendere sul serio questa responsabilità.
Fra conferenze e progetti di ricerca, c’è un aspetto della comunicazione che i Nobel non trascurano: quello con i nipotini. In questo, l’età media dei vincitori ( 72 anni) aiuta. «Ho nove nipoti, di cui 8 femmine», racconta McDonald. «Viaggio molto per lavoro, ma colgo ogni occasione per andarli a trovare. Appena raggiungono l’età, facciamo discussioni interessanti sulla scienza». Barish, come se non gli bastasse coordinare mille scienziati nella ricerca delle onde gravitazionali, insieme a un illustratore sta scrivendo un libro per bambini sulla storia dell’universo. Ha le idee chiare su come impostarlo, perché ha impresso nella memoria un episodio dell’infanzia. «Avevo dieci anni più o meno. La prima volta in cui mi sentii in un certo senso scienziato fu quando mio padre non seppe rispondere a una mia domanda. Gli avevo chiesto perché il ghiaccio galleggia. Fui costretto a scoprirlo da solo, andando in biblioteca. Da allora ho capito che ai bimbi non bisogna dare risposte, ma stimoli. La curiosità è la loro risorsa più importante; e grazie a essa si potrà diventare scienziati».
Ma la curiosità da sola non basta: a un Nobel non si sopravvive senza una spiccata propensione a volare. «L’anno del premio – racconta Frank – ho fatto Svezia, Usa, India, tre volte Germania, Spagna, tre volte Cina, Australia. Ho partecipato a conferenze, forum mondiali, ricevuto premi e fatto parte di giurie. Ovunque andassimo, mia moglie e io eravamo sommersi da regali e ospitalità. Dopo un po’ ho smesso, iniziavo a trovarlo frustrante». L’elenco dei viaggi di Sauvage non è meno impressionante: «Quest’anno sono già stato tre volte in Italia. E fra qualche giorno ho un appuntamento importante a Bologna. E ancora: Svezia, Germania, Stati Uniti, Svizzera, Hong Kong, Cina, Spagna, Repubblica Ceca, Giappone, Cuba. Faccio almeno due viaggi al mese. Per fortuna mia moglie capisce. Anzi, spesso mi accompagna».
Oltre ai nipotini, il puntello del Nobel sono le mogli. McDonald una volta a mese va a ballare con lei. Anche Frank si fa accompagnare nei viaggi. Perfino la moglie di Mourou, così severa quando il marito è immerso in elucubrazioni casalinghe, non perde una conferenza. «Ascolta tutti i miei interventi», racconta addolcendo la voce. «Non ha studiato fisica, ma cerco di spiegarle di cosa parlerò e lei mette molto impegno nel seguirmi. I miei studi riguardano tra l’altro l’impiego del laser per la chirurgia degli occhi. Alcuni degli esperimenti, in laboratorio, li ho fatti insieme a lei». Dalla danza alle arrampicate in montagna, gli hobby servono ad allentare la pressione di una vita passata contando i secondi. Barish si scarica leggendo fiction, andando all’alba in bicicletta e incontrando gli amici. Mourou ama nuotare: «Tutti i giorni, almeno mezz’ora, durante la pausa pranzo». Frank è un raffinato scrittore: «Scrivere è importante. Prima di tutto nel lavoro, perché attraverso le parole devi cercare una rotta che superi i pregiudizi dei guardiani del sapere precostituito: i direttori delle riviste, i revisori degli articoli, i responsabili degli enti che erogano finanziamenti. Poi ci sono i racconti brevi, alcuni sono stati anche pubblicati. Servono a riequilibrare la mia vita». Sauvage ama ascoltare musica e fare giardinaggio. «Curare le piante è l’unico modo per evadere completamente e trovare un po’ di relax. È come un medicamento, di fronte a questa pressione incessante».
Poi, finalmente, arriva il sonno. Ma nemmeno qui alcuni Nobel riescono a dimenticare la scienza. C’è chi prende il tema del riposo sul serio, come Arnold: «Nonostante gli impegni, rispetto sempre la regola delle otto ore. Dormo bene anche in aereo. Per questo amo le trasferte in Europa. Il volo dalla California è abbastanza lungo da permettermi di arrivare riposata». Sauvage non è del tutto d’accordo: «Una notte insonne ogni tanto può essere molto di aiuto». Barish, che pure ha una moglie psicanalista, rifiuta l’idea che la vita onirica sia collegata alla fisica: «Dormo come tutti gli altri, Non vedo in sogno onde gravitazionali». Ma Frank, su questo, è pronto a sfidarlo: «Sono convinto che tutte le idee vengano di notte, anche quelle che sembrano arrivate di giorno. Il cervello è diviso in compartimenti e alcuni di questi continuano a lavorare. Anche se non ce ne rendiamo conto, stanno cercando di trovare una soluzione alle sfide della giornata precedente».