il Giornale, 4 dicembre 2018
Le nuove regole cinesi per i matrimoni
È la legge del mercato: se la domanda resta uguale e diminuisce l’offerta, il prezzo sale. In Cina decenni di politica del figlio unico hanno creato uno squilibrio di 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne. E il «costo» delle spose (una sorta di dote al contrario, che la famiglia del futuro sposo deve versare a quella della futura moglie) è schizzato alle stelle. Soprattutto nelle zone rurali, dove le tradizioni sono difficili da estirpare e la reputazione è il bene più prezioso da difendere. Pechino, però, vuole dire basta alle «usanze volgari e immorali» e ha annunciato una «riforma completa» delle cerimonie nuziali. Dopo i funerali – molte amministrazioni locali cinesi hanno reso obbligatoria la cremazione, per risparmiare spazio e risorse – anche in occasione del «sì» sarà il governo centrale a stabilire l’etichetta e a decidere quanto (poco) si potrà spendere.
Nel mirino dei funzionari della Repubblica popolare, come annunciato dal ministero per gli Affari civili, ci sono anche le cerimonie e i regali troppo lussuosi e gli hunnao, i riti goliardici pre-matrimoniali originariamente nati per scacciare gli spiriti maligni dalla coppia e trasformatisi poi in violenze legittimate. Tutte pratiche che, secondo il governo cinese, riflettono una «decrescente moralità» e un’«adorazione sfrenata del denaro». La famiglia della sposa può arrivare a chiedere in cambio della mano della figlia anche automobili, case e oro. Nella Cina agricola – e paradossalmente più povera – il prezzo di una sposa può arrivare a essere dodici volte quello dello stipendio annuale di chi deve sborsare quei soldi. Una tradizione che già a livello locale le autorità stanno tentando di debellare. Quest’estate, per esempio, aveva fatto notizia il caso di Da’anliu, villaggio rurale della provincia di Hubei dove una donna poteva costare anche 30mila dollari: l’amministrazione ha fissato un tetto massimo di 2.800 dollari, pari alla busta paga media del luogo, e chiunque lo sfori è imputabile per traffico di esseri umani. E spending review sono in vigore anche nella provincia di Henan: alle feste nuziali gli invitati non possono essere più di 200, i doni non possono valere oltre gli 8.600 dollari e non ci si può indebitare per organizzare lo sposalizio. Il tutto è finalizzato anche a combattere la piaga della corruzione: le mazzette si mascherano bene dietro la scusa dei regali di nozze, ed è compito del Partito comunista assicurarsi che i propri membri siano puliti e onesti.
Di qui l’idea di standardizzare i matrimoni. Le linee guida per le cerimonie e i regali consentiti saranno stabilite da un’apposita commissione – la stessa che si occupa della riforma dei funerali – con l’aiuto delle istituzioni locali. Si comincerà dai personaggi pubblici, che dovranno dare il buon esempio senza cadere nella tentazione di organizzare matrimoni da paperoni, e dai giornali, che non dovranno dare spazio alle nozze vip. «Queste pratiche non impediscono solo la crescita e la riduzione della povertà – ha spiegato venerdì in una conferenza stampa nazionale un funzionario del ministero degli Affari civili – ma rovinano anche l’armonia delle famiglie e lo sviluppo sano della società».
Ma l’intento è anche quello di «riflettere meglio» i valori della Repubblica popolare e aderire allo «Xi pensiero», la dottrina del presidente Xi Jinping. A partire da quella «frugalità» in nome della quale ogni mese, a partire dal 2012, vengono punite e sanzionate decine di migliaia di funzionari pubblici, rei di lasciarsi andare a lussi ed edonismo. Proprio ieri Pechino ha fatto sapere che a ottobre sono stati multati in 7.819, per un totale di 68.500 «furbetti» nei primi dieci mesi di quest’anno.