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 2018  dicembre 04 Martedì calendario

Schumacher può vivere decenni da incosciente

Si chiama off-period, ed è quel periodo di tempo nel quale i neuroni del nostro cervello si mettono in modalità “silenzio” per spegnere la coscienza. Si osserva in tutte le persone sane ogni notte durante le fasi di sonno profondo, e si disattiva automaticamente al risveglio, quando si ritorna vigili. Nei pazienti che cadono in stato vegetativo, invece, l’off-period si blocca, resta spento permanentemente, e la coscienza non riesce quindi a riemergere, nonostante tutte le altre aree del cervello risultino intatte e attive, perché quelle danneggiate con i neuroni off non sono più in grado di interagire tra loro e con il resto del mondo, facendo sprofondare il soggetto in uno stato incosciente, una sorta di “fine pena mai” paragonabile a un ergastolo patologico, perché il corpo è vitale e reattivo in tutte le sue funzioni, ma imprigionato e condannato dal suo computer corticale difettoso, che nessun neurochirurgo al mondo è stato fino ad ora in grado di resettare. Lo stato vegetativo irreversibile è una condizione patologica finita molte volte sotto i riflettori delle cronache, anche in giorni come questi nei quali si avvicina il quinto anniversario del grave incidente subìto dal pilota Michael Schumacher, il quale dal 29 dicembre 2013 giace vivo ed immobile in un letto di silenzioso dolore.

FUNZIONI DA RIATTIVARE
Chi di voi ha più di 50 anni, non ricorda nella propria giovinezza un amico o un conoscente precipitato in uno stato vegetativo, perché fino a trent’anni fa si moriva, e la medicina non era in grado di riportare in vita pazienti con gravi lesioni cerebrali, mentre oggi vengono rianimati tutti i moribondi che arrivano in ospedale sul filo della morte, che vengono strappati dal coma e riportati allo stato di veglia, ed ai quali la scienza è in grado di riattivare tutte le funzioni principali dell’organismo, incluse le cardiache e le polmonari, ma non si è ancora capaci di risvegliare la coscienza, soprattutto se il cervello ha subìto un grave danno, e le cause più frequenti dello stato vegetativo sono il trauma cranico violento associato all’ipossia prolungata, ovvero quando la mancanza di ossigeno si è protratta per oltre un’ora. Lo stato vegetativo però non ha nulla a che fare con il coma, perché il paziente è sveglio, o meglio è in una condizione di “veglia incosciente”, e non ha nulla a che fare nemmeno con la morte cerebrale, nella quale tutte le attività dell’encefalo sono andate perdute, l’elettroencefalogramma risulta piatto, e vengono considerate morte tutte le altre attività correlate, tra cui quella respiratoria.

SGUARDI E STIMOLI
Nello stato vegetativo invece, il cervello è vivo e dà segni di attività, molte aree risultano intatte e funzionanti, è presente il ciclo sonno-veglia, ovvero i pazienti si addormentano la sera e si svegliano la mattina, aprendo gli occhi con mobilità oculare e delle palpebre, ma non sono in grado di seguire con lo sguardo uno stimolo visivo, o riconoscere un volto, perché non ne hanno coscienza. I loro occhi hanno movimenti spontanei, solitamente lenti, di velocità costante, senza movimenti saccadici, e però non hanno la luce dell’intelligenza, della comprensione, della ragione o della disperazione, ma sono freddi, vuoti e non comunicano emozioni, perché hanno perso qualunque espressione emotiva. Nessuno stimolo uditivo li distrae, perché sono sordi a qualunque richiamo, anche se questi soggetti possono presentare riflessi arcaici, come movimenti di masticazione, deglutizione, smorfie del viso, sbadigli, sorrisi, lacrimazione, gemiti, ed alcuni possono manifestare la presa della mano (grasping), ma a livello cerebrale galleggiano in un limbo senza parole, pensieri e ricordi, che li imprigiona nell’incoscienza per l’eternità. Le funzioni del tronco encefalico invece, essendo intatte, supportano l’attività cardiorespiratoria, digestiva, urinaria, ormonale e metabolica, ma essendo la corteccia cerebrale gravemente danneggiata, sono azzerate le funzioni cognitive e di vigilanza, comportando una invalidità permanente. Inoltre, se i soggetti precipitati in stato vegetativo sono giovani, essi, accuditi nelle uniche funzioni che necessitano di assistenza, ovvero quelle urinarie, evacuative ed alimentari, possono vivere anche decenni, perché respirano da soli, non sono attaccati ad alcuna macchina di supporto, e tutti gli organi vitali, cuore compreso, sono sani, ed inoltre, vegetando in un ambiente sterile, senza contatti con altri individui, raramente si ammalano. Essi giacciono immobili nel letto pur non essendo paralizzati, perché è il centro del comando motorio e sensitivo del cervello ad essere andato in tilt, e paradossalmente questo tipo di pazienti potrebbero rappresentare dei preziosi donatori di organi, ma non essendo in morte cerebrale sono considerati dalla medicina vivi e vegeti, anche se nessun paziente vegetale al mondo ha mai recuperato una normale funzionalità fisica o cerebrale. I traumatizzati lievi possono emergere dallo stato vegetativo in poche settimane e recuperare lentamente una minima coscienza, ma se esso persiste, il numero dei malati che sopravvive ai sei mesi dal danno cerebrale, ha un’aspettativa di vita di 2/5 anni, e solo il 25% supera questo limite di tempo, anche se non mancano casi in cui vivono per decenni. La prognosi comunque tende ad essere infausta, ed anche coloro che manifestano piccoli miglioramenti, o raggiungono uno stato di minima coscienza, restano dei disabili gravissimi, perché nessuno di loro torna a parlare, ragionare o camminare.

L’AREA “GRIGIA”
Lo stato vegetativo irreversibile non viene paragonato alla morte in nessun sistema legale al mondo, anche se rimane ?un’area grigia? attorno a questa condizione, per molti versi ancora sconosciuta, con molte controversie sulla sua irreversibilità, e con accesi dibattiti bioetici. In Italia I casi più famosi sono stati quelli di Beniamino Andreatta, di Eluana Englaro, e quello succitato di Michael Schumacher, che sono stati rianimati in punto di morte, ma nel nostro Paese sono oltre 3.500 i degenti in stato vegetativo persistente, mentre negli Stati Uniti il numero supera i 40mila soggetti. Quando la scienza vince sulla morte, ma non è in grado di restituire la vita, è sempre una sconfitta, perché portare un paziente in uno stato clinico “sospeso”, in cui il processo mortale viene fermato dai trattamenti di sostegno vitale, ma non sufficienti per restituire il contenuto di coscienza all’individuo, è come collocarlo in una “quarta dimensione” nella quale la medicina non è ancora in grado di intervenire. Restano le domande di ordine etico e morale, perché nessuno è in grado di garantire se questi pazienti strappati alla morte desiderassero vivere in stato vegetativo, essere condannati a non morire nella vana speranza di risvegliarsi, e soprattutto restando soggetti a decisioni altrui, con i famigliari condannati ad assisterli per tutta la vita.