Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  dicembre 04 Martedì calendario

Intervista a Donatella Versace: «Credo nel Made in Italy, continueremo a produrre qui»

«La moda potrebbe essere un polo di attrazione per i giovani che cercano un futuro nel nostro Paese. La Versace creerà tanti nuovi posti di lavoro, noi produciamo tutto qui, comprese le T-shirt. Il Made in Italy è un valore importantissimo che dà prospettive di crescita enormi. Apriremo due aziende per gli accessori, come scarpe e borse, e un centinaio di negozi nel giro di un anno e mezzo». Sprizza energia da tutti i pori Donatella Versace, orgogliosa e soddisfatta del grande passo che ha fatto vendendo la Versace al gruppo Michael Kors, che dal 1° gennaio si chiamerà Capri Holdings, un nuovo polo del lusso che comprende anche i brand Michael Kors e Jimmy Choo. 
La incontriamo a due mesi della cessione - per fare un primo bilancio su quanto è cambiato e cambierà - negli uffici milanesi della griffe in via Borgospesso. Mentre fervono i lavori nella nuova sede in viale della Liberazione di fronte alla Diamond Tower. Lì svetterà il mega Palazzo della Medusa, ribattezzato The Corner (appartiene alle Assicurazioni Generali e ospiterà anche la squadra di calcio dell’Inter). «Il cambiamento è di quelli radicali. Versace è un grande marchio iconico con una storia unica, conosciuta in tutto il mondo. Ma per restare tale anche quando io non ci sarò più aveva bisogno di investimenti. Oggi le grandi aziende a conduzione familiare non contano come un tempo perché il mondo è cambiato, c’è la tecnologia, ci sono i grandi gruppi come Lvmh e Kering. Negli ultimi due anni le cose andavano bene, non ci pensavo proprio a rivoluzionare tutto, poi mi hanno avvicinato varie persone di questi gruppi, finché è arrivato John Idol (ceo della Capri Holdings)». 
E che cosa l’ha convinta?
«Lui mi disse: “Voglio fare un gruppo del lusso ma non ho aziende di lusso, saresti tu con Versace il brand di prestigio, non mi interessa nessun altro, sei d’accordo?”. E quando venne a visitare l’archivio rimase estasiato di fronte agli abiti di Jennifer Lopez, Lady D... Alla fine aveva le lacrime agli occhi. C’è stata una grande intesa da subito». 
Ma come è stata accolta la decisone in azienda?
«All’inizio male perché giravano troppi pettegolezzi. Così, con Idol abbiamo organizzato una mega riunione al Cinema Odeon, anche con chi lavora in fabbrica a Novara. E abbiamo spiegato bene che tutto sarebbe cambiato in meglio: più investimenti nel marketing, nella tecnologia con una piattaforma digitale disegnata da Bill Gates, più fabbriche. Soprattutto di borse e scarpe. Perché siamo fra i pochi a fare il grosso del fatturato solo sugli abiti e ora vogliamo ampliare la parte accessori che fino a ieri era realizzata da laboratori esterni. Poi c’erano da chiarire ai dipendenti molti altri aspetti».
Quali?
«I giornali hanno scritto che Michael Kors ci aveva comprati, ma Kors, che ammiro tantissimo, non c’entra nulla, è una delle tre aziende del gruppo. Gruppo che non è americano, anche se è quotato a Wall Street. La Capri Holdings ha il suo headquarter a Londra e sede nelle British Virgin Island. Il nostro ceo interno resta l’inglese Jonathan Akeroyd. E un po’ capetto - della Versace, Jimmy Choo e Michael Kors -. lo sono pure io, perché con mia figlia Allegra e mio fratello Santo ho reinvestito nella Holdings, siamo tra i primi sei investitori». 
Quando un brand vende si teme sempre che dopo poco tempo lo stilista venga sostituito. Non ha questo timore?
«Ecco, invece la condizione era proprio quella che io rimanessi. Starò qui, sono legata mani e piedi. La Holdings vuole assolutamente il nostro know how italiano. Sto studiando, mi sto informando su tutto. Oltre a essere il direttore artistico della Versace mi occuperò delle strategie con Idol, perché anche questa parte deve essere seguita con un occhio creativo».
I vostri negozi intanto sono già cambiati.
«Sì, quello di Miami per esempio all’esterno è bianco con la Medusa nera, dentro però è fatto di elementi intercambiabili. A tutti piacciono più o meno le stesse cose ma in maniera diversa e le boutique devono essere eclettiche, dare la possibilità di diversificare. Ogni città ha le sue esigenze: Milano non è Miami. Nel punto vendita di Firenze per esempio c’è un pezzo antico, per sottolineare la peculiarità di quella città. Abbiamo appena inaugurato Monaco e a ruota aprirà Pechino con altre caratteristiche. Poi ne seguiranno altri».
Il primo passo che segna la nuova era della maison è la sfilata di pre-collezione a New York?
«Da tempo volevo farla. Ho scelto il giorno del compleanno di Gianni che porta bene e ho scelto New York perché adoro lavorare con gli americani e amo questa città, dove con mio fratello ho avuto una casa per 15 anni. Il défilé è un investimento sul marchio. Il tema è un must della griffe, il ritorno di safety pins. Sono partita dal passato per trasformarlo nel presente. Ricordate l’abito di Elizabeth Hurley, al braccio di Hugh Grant, tempestato di spille da balia? È stato quel capo a lanciarla. Fece il giro del mondo. Ovviamente non è uguale».
A lungo ha avuto difficoltà a parlare di Gianni, adesso lo fa sorridendo.
«Sì, non riuscivo a parlare di lui perché è morto in modo brutale. Fosse stata una malattia me ne sarei fatta una ragione. Ma ora mi fa piacere ricordare il lato giocoso, la complicità del nostro rapporto. Penso che sarebbe contento di vedermi tirare fuori le cose che ci siamo divertiti a fare insieme».
Cosa c’è nel suo armadio?
«Ho due armadi. Uno con tutto quel che uso oggi. L’altro con i vestiti del cuore che non metterei mai più, ma mi piace toccarli per rivivere certe emozioni. Il mio preferito è un abito che mi fece fare Gianni in pelle nera e strass, senza maniche tipo chemisier, con un collettino bianco. Di una bellezza da perdere la testa. Lo misi alla prima della mostra fotografica di Avedon in America, tantissimi anni fa. Non sono legata al passato, preferisco parlare di come mi vesto oggi. Con capi più morbidi. Amo il mio orologio d’oro maschile col bracciale largo, le T-shirt nere - ne avrò una trentina tutte uguali - e le gonne corte con i fuseau, come questo mini kilt in tartan che indosso ora». 
E poi i tacchi.
«Quelli sempre, consiglio a tutte gli stivaletti con i lacci, un po’ più alti sulle caviglie per nascondere le parti che non sono perfette. Hanno un tacco 12, ma con la zeppa davanti diventano di 6 cm e sono comodissimi». 
In casa come veste?
«Porto una canotta di stretch nera e pantaloni da jogging della nostra linea sport, con le greche oro in vita. E cammino scalza, le sneaker le uso solo in palestra».
Cucina mai?
«No, mai, non mi interessa, la mia passione è scrivere. Non prendo appunti sul telefonino, scrivo su un libriccino e descrivo pure come vorrei i modelli: spalla stretta, vita alta, silhouette asciutta... poi chiamo i ragazzi che disegnano e spiego anche gli accostamenti di colore. Forse è un retaggio della mia formazione classica (ha studiato Lettere a Firenze, ndr.). Al liceo facevo i temi d’italiano a tutti, di contro detestavo i numeri, quindi gli altri mi passavano i compiti di matematica. Poi leggo moltissimo, tutti i giornali la mattina sull’Ipad. E tanti libri. L’ultimo è Becoming di Michelle Obama. Me l’ha regalato proprio lei». 
Il suo rapporto con i social?
«Mi interessano i giovani e chi ha le idee chiare e qualcosa da dire. Alcuni dei miei follower mi colpiscono e voglio mettermi in contatto con loro. Bisogna uscire dalla cerchia delle persone che ti proteggono per andare verso il prossimo e capire quel che sta succedendo».
La musica influenza sempre la sua creatività?
«Sì moltissimo. Negli Anni 90 ero amica di Prince e di Madonna, ora mi piace l’hip hop, i testi mi fanno riflettere, sono socialmente impegnati, leggendoli capisco altre culture. I miei preferiti sono The Migos (quelli della canzone Versace Versace Versace), Grace e Nicki Minaj. Artisti che si lanciano senza paura. La Minaj non ha un corpo perfetto: seno prosperoso, gambe toniche, ma è magnifica. Dimostra che per sentirti bella non devi essere magra, alta e morire di fame». 
Le sono sempre piaciute le donne forti ?
«Sì, adoro Michelle Obama, ma tutte le donne sono forti. A certe però occorre farlo capire. Le donne in Italia hanno una grande forza inespressa, devono farsi sentire». 
Che cosa pensa dell’Italia di oggi?
«La gente scappa perché quel che sta facendo il governo non aiuta il nostro bellissimo Paese, i politici lo stanno rovinando. Non si può commentare l’ignoranza». 
Come si vede fra vent’anni?
«Non mi vedo, amo il presente che mi serve per costruire il futuro».