Maestro Mariotti, lei ha già affrontato opere del primo Verdi. Chailly sta lavorando sulla trilogia “Giovanna d’Arco-Attila-Macbeth”. Pensa che si possa parlare di una renaissance degli “anni di galera”?
«Me lo auguro. Confronto sempre Rossini con Verdi. Il primo è una bussola impazzita, spariglia. La produzione di Verdi, invece, è in continua evoluzione. Ma il primo Verdi non va considerato alla luce dei capolavori successivi: non dobbiamo pensare a quello che manca, ma al valore in sé. Il compositore era già pienamente calato nella propria realtà. Per questo bisogna affrontarlo senza vergogna, pensando a quanto lavoro di sperimentazione c’è dietro. Attila anticipa Macbeth, I due Foscari sono l’anticamera di Simon Boccanegra ».
E “I Masnadieri”?
«L’elemento più interessante è che la famiglia tratteggiata è molto attuale, le situazioni potrebbero accadere oggi. Relazioni mosse da passioni torbide, lati oscuri e fame di potere, due fratelli, Carlo e Francesco, che si odiano, un padre ingannato. Sotto sotto ogni gruppo familiare ha le sue disfunzionalità. E poi mi affascinano i personaggi che soffrono, e qui c’è tanto dolore. Un sentimento che conosco bene, avendo perso la mamma da giovane».
Cosa c’è di rilevante dal punto di vista musicale?
«Di un’opera mi interessano il colore e il suono, più che i tempi, che sono soggettivi. E qui il colore è scuro, gotico, malato. L’unico personaggio positivo è Amalia, innamorata di Carlo ma desiderata anche da Francesco. La sua è una parte difficile: ci vuole una vocalità belcantistica, fragile, ma al contempo l’intelaiatura è fortissima, ha un’ossatura solida. È una donna che dimostra una forza decisionale grandissima, nel finale chiede consapevolmente di essere uccisa. E non dimentichiamo il ruolo del coro: non commenta soltanto, partecipa all’azione».
E gli uomini?
«Sono dei deboli, come molti di coloro che oggi si trovano invischiati nella criminalità. Carlo che si unisce al gruppo dei masnadieri, ribelli e violenti, perché tradito dalle menzogne del fratello, mi fa tornare alla mente le dichiarazioni di De André quando fu rapito in Sardegna: “Non ce l’ho con loro, sono delle vittime”».
Usa la bacchetta che le ha regalato Claudio Abbado?
«No, la conservo in modo semplice, senza troppa retorica».
Dal 2019 non avrà più una direzione stabile. Le mancherà?
«Sì, è un ruolo che mi piace molto, a patto che lo si concepisca all’antica. Il direttore musicale deve essere molto presente per dare un’identità all’orchestra. Spero che prima o poi mi ricapiti un’occasione».