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 2018  dicembre 04 Martedì calendario

Saioa Hernández, star di «Attila» alla Scala

Il suo armadio è pieno di sorprese. A guardarci dentro nel corso del tempo si sarebbe potuto trovare una divisa da poliziotta o una tonaca da suora. Vocazioni inseguite in passato da Saioa Hernández, ragazza di Madrid alta e bionda come una valchiria. Tentazioni archiviate e scoperta la sua vera passione, il canto, Saioa in quell’armadio oggi custodisce l’abito fatale, di broccato verde, luccicante da sirena, con due serpenti dorati inerpicati sulle maniche.
«Perfetto per colpire a tradimento l’uomo appena sposato» sorride la soprano spagnola che lo sfoggerà il 7 dicembre alla Scala nel finale di Attila, l’opera giovanile di Verdi diretta da Riccardo Chailly, dove lei è l’implacabile Odabella, pronta a impalmare il feroce Unno pur di vendicare il padre ucciso.

Perché Attila sarà pure il «flagello di Dio» ma quella pugnalata dalla sua sposa non se la aspetta proprio. Tanto da sussurrarle morente le stesse parole di Cesare a Bruto: «E tu pure, Odabella?»
«Eh sì. D’altra parte Odabella ha visto sterminare la sua famiglia, uccidere il padre sotto i suoi occhi. Un trauma che non può superare, chi le ha provocato tanto dolore deve morire. E per mano sua. Tant’è che allontana da Attila la coppa avvelenata che gli porge Foresto, il suo fidanzato, perché la vendetta tocca a lei. E il povero Attila scambia il gesto come prova di lealtà. Forse di amore. Si fida di lei. E fa male».
Insomma, la sua prima volta alla Scala è nei panni di un’assassina, l’unica di tutto il repertorio verdiano.
«Deve essere il mio karma... Ero partita con tutt’altre intenzioni. Finito il liceo, mi ero iscritta a legge decisa a entrare nella polizia. Volevo diventare ufficiale d’aviazione. Ho fatto tutte le prove, superati gli esami. Ma poi...».
Che è successo?
«Ho avuto la conversione, sono andata in convento».
Così? Di colpo?

«Si. Ero atea, la religione mi interessava solo da un punto di vista filosofico. Poi ho incontrato un ragazzo, uno scout, mi ha parlato della sua fede, mi ha portato ad alcune riunioni di credenti. E mi sono ritrovata a credere anch’io. Così forte che ho deciso di prendere i voti. Per un anno e mezzo ho vissuto in un monastero, ho indossato l’abito di novizia, ho pregato con le suore, ho vissuto con loro. Ma alla fine ho scoperto che non era la mia strada. La fede potevo viverla anche fuori di lì».
A quel punto che ha fatto?
«Sono tornata all’università. Ma non per continuare gli studi ma per riprendere a cantare nel coro della facoltà. Un coro molto serio, dove la musica si studiava davvero. Cantare era sempre stato per me naturale. In casa canzoni pop, in convento i canti liturgici. Tutti mi dicevano che avevo una bella voce, che avrei dovuto coltivarla. Ma ero timidissima, esibirmi in pubblico mi spaventava. Ad aiutarmi sono state le monache, mi hanno fatto capire che la voce era un dono di cui non dovevo vergognarmi. Anzi. E poi, a darmi la spinta finale, è arrivato Francesco».
Francesco chi?
«Francesco Galasso, l’amore della mia vita. Un’estate sono andata in tour con un coro. E tra i coristi c’era un italiano simpatico. Mi ha colpita subito e non solo per la sua voce. Ormai siamo insieme da 14 anni. Lui è tenore, mi ha guidata verso le persone giuste. Sono andata a lezione dalle maestre più grandi, dalla Scotto, dalla Caballè. Montserrat mi ha preparata per il mio debutto, Norma, a Catania. L’Italia mi ha portato fortuna, ho cantato più qui che in Spagna».
Traguardo finale, la Scala.
«Quando mi hanno detto che Chailly voleva ascoltarmi non ci credevo. Avevo un terribile mal di schiena mi sono presentata in scarpe da tennis... Lui si è messo al piano io ho cantato Santo di patria, la prima aria di Odabella. Quando mi ha detto “Va bene, questo 7 dicembre lo facciamo insieme”, ho trovato la forza solo di mormorare “Oddio...!”».
Un debutto alla Scala, nella serata più vista al mondo. A chi andrà il suo pensiero?
«Allo strano cammino che mi ha portata fin qui. Esperienze diverse, sempre in una comunità. L’esercito, il convento... E ora il teatro. Dove si crea insieme. E un grande grazie lo dirò a Caballé, mia maestra di vita e di arte».