La Stampa, 4 dicembre 2018
Il cervello fatto a fette per capire la memoria
Ha rivoluzionato, da solo, lo studio della memoria e potrebbe ancora riservare molte sorprese. Ricordava il suo nome, i suoi genitori, gli anni della Seconda guerra mondiale e altri tanti particolari della sua vita fino all’età di 27 anni. Poi nient’altro, per oltre mezzo secolo. Tutto ciò che era successo dopo l’estate del 1953 veniva rimosso in una ventina di secondi.
Oggi gli scienziati possono studiare il cervello del Paziente H.M., presente su tutti i libri di psicologia e medicina. Le iniziali sono pensate per preservare l’identità del caso neurologico più studiato di sempre. O, meglio, lo erano fino a 10 anni fa, quando il 2 dicembre 2008 è morto Henry Gustave Molaison, e il suo cervello è stato donato alla scienza per capire, tramite ricostruzioni 3D, quale fosse il suo vero danno cerebrale.
Ma perché il paziente H.M. è così importante? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro, quando Henry aveva 9 anni. Forse a causa di un incidente iniziò a sviluppare crisi epilettiche, che nessun trattamento allora noto migliorava. Il neurochirurgo William Scoville propose allora una sua versione della lobotomia. Poiché l’origine delle scariche epilettiche sembrava essere nei lobi temporali, li avrebbe asportati. L’epilessia migliorò, ma dopo l’operazione H.M. non era più in grado di immagazzinare nuovi ricordi.
«Gli piaceva conversare, ma in 15 minuti ti raccontava la stessa storia tre volte, con le stesse parole e la stessa intonazione», ha detto di lui Suzanne Corkin, la neuroscienziata del Massachusetts Institute of Technology che per quasi 50 anni ha studiato e seguito H.M.
L’errore con Einstein
«Già da tempo avevamo stabilito un protocollo preciso su cosa fare quando H.M. sarebbe morto. Tempi, modi, il biglietto aereo sempre aperto». La persona incaricata di esplorarne il cervello è oggi Jacopo Annese, direttore del «Brain Observatory» di San Diego, California, ed esperto di anatomia cerebrale. «Nell’unica volta in cui Henry e io ci siamo visti pensavo che, prima o poi, avrei dovuto fare una dissezione del suo cervello. Ma non lo vedevo come un esperimento e, anzi, mi sentivo umanamente vicino a lui. Come se un amico ti affidasse qualcosa di prezioso…».
Annese, nel 2007, aveva sviluppato un metodo per analizzare il cervello senza «parcellarlo» in campioni più piccoli. «Non volevamo rifare l’errore che era stato fatto con il cervello di Einstein, diviso in tanti, troppi pezzi e distribuito ai centri di ricerca». La tecnica ideata da Annese consiste, invece, nel ricavare sottilissime fettine di 70 μm del cervello: se ne ottennero 2401, con una diretta video online durata tre giorni. Ora centinaia di immagini digitali delle sezioni che costituivano il cervello di H.M. sono disponibili sul sito www.patienthhm.org e Annese si augura che la comunità scientifica internazionale prenda parte al progetto. L’obiettivo è che questo cervello crei lo stesso interesse e origini studi pari a quelli realizzati sul suo comportamento, quando era vivo, grazie ai magistrali studi della neuropsicologa Brenda Milner.
Nel 2014 la prima analisi anatomica della ricostruzione del cervello di H.M. confermò l’ampia lesione temporale, ma dimostrò anche come l’ippocampo non fosse stato totalmente enucleato. «Dalla ricostruzione abbiamo stimato che una porzione dell’ippocampo di circa 4.5 centimetri – la metà della lunghezza normale – era ancora intatta in ognuno degli emisferi. Ma c’era di più, in quanto scoprimmo una lesione nella corteccia orbitofrontale sinistra, mai menzionata prima e dovuta all’intervento».
Queste scoperte portarono a un contrasto tra lo stesso Annese e Suzanne Corkin, cominciato per una disputa sull’importanza dei risultati anatomici, continuato con una diatriba di carattere scientifico, non rara in accademia, che però si trasformò in una battaglia legale delle rispettive università sui diritti di possesso del cervello di H.M. Battaglia poi conclusa con un articolo su «Nature Communications» e patienthm.org. Lì sono contenuti i dati anatomici osservati post-mortem, insieme con le foto di uno dei cervelli più famosi delle neuroscienze, compresa quella della celebre lesione.
Anatomia e comportamento
Le basi della memoria sono quindi da rivedere? «Purtroppo i libri di testo ancora oggi riportano una completa rimozione dell’ippocampo, generando una visione errata», sottolinea Annese. E, quindi, che cosa ci può rivelare quel cervello? «Sono ancora molte le informazioni nascoste – risponde -. Ora stiamo creando una “brain library”, una biobanca di cervelli, donati da persone di ogni età, che ci permetterà di confrontarli per capire meglio l’importante legame che intercorre tra anatomia cerebrale e comportamento, nell’ottica di una medicina preventiva sempre più personalizzata».
La chiave di una delle più misteriose e importanti facoltà umane – la memoria – potrebbe ancora riposare tra quelle migliaia di «fettine» pazientemente archiviate.