3 dicembre 2018
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Biografia di Jay-Z
Jay-Z (Shawn Corey Carter), nato a New York il 4 dicembre 1969 (49 anni). Rapper. Imprenditore. Produttore. Procuratore sportivo. Vincitore di 21 Grammy Award. Oltre 100 milioni di copie vendute. Detentore di un patrimonio personale stimato in circa 900 milioni di dollari. «Shawn Carter, in arte Jay-Z. Lo spacciatore di Brooklyn diventato negli anni una multinazionale dell’intrattenimento» (Filippo Santelli). «Io non sono un businessman. Io sono un business» • «Shawn Corey Carter è nato a Brooklyn da Gloria Carter e Adnes “AJ” Reeves. È il quarto figlio di Gloria, il suo preferito. […] A 4 anni, Jay assaggia la fama per la prima volta: “Ho fatto un numero con la mia bicicletta e tutto il quartiere era lì a guardarmi. È stata la prima volta in cui mi sono sentito famoso, ed è stato bello”. A 11 anni fa un’altra scoperta: “Ho avvertito la netta sensazione di essere intelligente. Ho fatto anche dei test e mi hanno confermato che ero sopra la media della mia età. Ero entusiasta”» (Touré). «Jay riesce […] a superare un’adolescenza a Brooklyn martoriata da traumi familiari (il padre abbandona casa lasciando la madre alle prese con quattro figli), dalla povertà e dal totale degrado, più conseguenti anni a spacciare crack. […] A 12 anni Shawn spara al fratello tossico che gli ha rubato delle collane, ferendolo alla spalla. Qualche anno più tardi toccherà allo stesso rapper, che si beccherà una pallottola da distanza ravvicinata per colpa di un "misunderstanding" con un amico. “Quello che succedeva nelle case popolari, specialmente ai tempi di Reagan, erano le guerre del crack”, ha raccontato Jay-Z. […] “L’odore era dappertutto. Era assurdo. Penso sempre a quella canzone dei Public Enemy, Night of the Living Baseheads. Di notte, era come vedere gli zombie camminare per strada. Era pericolosissimo. I ragazzini neri facevano tantissimi soldi, che si contendevano con degli Uzi in mano. Ti rendi conto? Armi semiautomatiche!”» (Claudio Biazzetti). «Nel mio quartiere ho perso persone che amavo, sono stato tradito da altre di cui mi fidavo e ho sentito le pallottole passarmi sulla testa. Ho visto il crack distruggere le famiglie così come la droga ha quasi ucciso la mia. Ma anch’io ho venduto il crack per strada. Ero minorenne e avevo la pistola nei jeans. Nel quartiere era più facile accedere alle armi che all’assistenza pubblica. […] Vivevo a Brooklyn, in una zona dal nome sinistro: Marcy Houses, un dedalo di viuzze tra palazzoni di 30 piani. Erano labirinti; ci sono state volte in cui la violenza sembrava musica di sottofondo. Proprio lì, come fosse una luce in fondo a un tunnel, ho incontrato il rap». «"Vidi il cerchio di gente prima ancora di intravedere il ragazzo nel mezzo. Avevo nove anni, era l’estate del 1978, e Marcy era tutto il mio mondo". […] Il piccolo Jaz-Z […] si chiamava semplicemente Shawn Carter e scoprì per la prima volta il rap, ascoltando quel ragazzino sotto i palazzoni. "Il suo nome era Slate e l’avevo già visto in zona. Ma lì, in quel cerchio, sembrava trasformato. Quella stessa notte cominciai a scrivere rime sul mio quadernetto a spirale"» (Angelo Aquaro). «DJ Clark Kent lo conosce quando hanno circa 15 anni: “Diceva già al tempo di voler diventare il miglior rapper del mondo, ed è divertente vedere come ci sia riuscito senza fare troppi sforzi. Il suo è un dono”. La sua ascesa può sembrare facile, ma Jay si è preparato a lungo: “Ogni mattina si metteva davanti allo specchio e rappava”, dice suo cugino Be-Hi, “si allenava, provava la pronuncia delle parole e il flow [“flusso”, cioè ritmo – ndr]. Tutte le mattine. Sai come quelli che si alzano presto per fare ginnastica? Lui rappava”. DJ Clark Kent gli finanzia e produce i primi demo, ma Jay non si concentra abbastanza sull’hip hop, perché è troppo impegnato a trafficare droga nel quartiere. Però sa che deve darci un taglio al più presto: “Più vai avanti, più sono alte le probabilità che ti succeda qualcosa”. Eppure, come è successo a Michael Jordan quando è stato scartato dalla squadra di basket del suo liceo, il giovane Jay-Z non riesce a ottenere un contratto discografico. […] Nei primi anni ’90 Kent gli presenta un giovane manager di Harlem di nome Damon Dash. Insieme a un amico, Kareem Burke, i due formano la Roc-A-Fella Records e nel 1996 pubblicano il primo album di Jay-Z, Reasonable Doubt. “Mi piacerebbe dire che quella era la nostra idea fin dall’inizio, ma in realtà è stata la frustrazione a farci prendere la decisione: ‘Le etichette discografiche non ci prendono in considerazione? Facciamone una noi’”, dice Jay» (Touré). «Di storie da raccontare ne ha molte: i problemi in famiglia, la violenza, lo spaccio di droga ai tempi della scuola. È l’archetipo del rap, il gangster che decide di mettere in rima la crudeltà quotidiana. Ma c’è una differenza tra lui e gli altri. Gli altri entrano ed escono di galera e di tanto in tanto sfornano qualche metrica: lui, invece, prende subito coscienza di essere una potenziale macchina da soldi. Sono gli anni della golden age dell’hip hop e della faida che vede contrapposte East e West Coast, ma Shawn decide di starsene alla larga. In verità il proposito gli riesce in parte, data l’amicizia che lo lega al vecchio compagno di scuola Notorious B.I.G. e al produttore Sean Combs (Puff Daddy, all’epoca). Carter partecipa a Life after Death (1997) di Notorious nel brano I Love the Dough, ma precedentemente (e a parti invertite) avevano collaborato nel pezzo Brooklyn’s Finest, in cui rivolgono qualche parolina di troppo a Tupac (quest’ultimo ricambierà in Bomb First). È il 1996, l’anno di debutto per Jay-Z con Reasonable Doubt, […] che ottiene presto i favori del pubblico e della critica. L’album è l’impronta del suo credo, dell’hustler, ovvero di colui che si dà da fare. […] Il nome Roc-A-Fella è riconducibile ad un gioco di parole che richiama i Rockefeller, il che la dice lunga sulle intenzioni del trio. In poco tempo la scuderia ingaggia tra i più bravi artisti emergenti (Memphis Bleek, Beanie Sigel, Freeway e a seguire i più conosciuti M.O.P., oltre che l’astro nascente Kanye West) e si afferma immediatamente quale punto di riferimento della scena hip hop americana. Nel frattempo prosegue anche la carriera solista di Shawn, il quale mostra una solida sensibilità musicale collaborando con gente del calibro di Lenny Kravitz, Chris Martin dei Coldplay e Justin Timberlake» (Fabio Germani). «Anni scintillanti dall’esterno – In My Lifetime, i beat di Premier, Hard Knock Life, il successo planetario, Life and Times, i featuring con le stelle del pop, The Dinasty, la rivalità con Nas, i due capitoli di Blueprint, l’incontro con Kanye –, ma letteralmente alienanti dall’interno: 7 album “sacri” in 6 anni. […] Vittima dei ritmi estranianti e dell’impero che lui stesso si è costruito, nel 2003 Jay-Z giunge al tracollo: “Sono semplicemente arrivato a un punto in cui facevo un album all’anno. […] Facevo un album solo per farne un altro dopo, cosa che non ho mai cercato. Ho sempre voluto metterci passione. Ma la musica attorno non mi ispirava più”. […] The Black Album nasce quindi con la premessa di chiudere tutto, ma di farlo in pompa magna. […] La prima mossa vincente è […] la quantità di produttori coinvolti, che, ansiosi di lasciare il segno in un disco importante, innescano un meccanismo di competizione che finisce per alzare, e anche di molto, la qualità dei beat. E quindi dell’intero disco. Per completare la grandiosità del disco vengono presi in prestito dalla classica archi grandiosi (What More Can I Say, Allure, Moment of Clarity) e persino una terminologia che si ispira alla musica concertistica: vedi il pomposo Interlude. […] Complice anche l’annuncio del ritiro dalle scene, nella prima settimana di uscita The Black Album vende […] quasi mezzo milione di dischi (463 mila copie), debuttando anche al primo posto della Billboard 200» (Biazzetti). «Questo fino al 2003. Dopodiché, Carter decide di fare il produttore a tempo pieno. […] Quasi subito la Roc-A-Fella inizia a distribuire gli album dei propri artisti in joint venture con la Def Jam. Sta per scadere il contratto, e i tre soci Dash, Burke e Carter trovano un accordo che prevede di fatto il divorzio di quest’ultimo dopo la vendita, pari al 50%, della loro creatura alla Def Jam. Il fatto è che alla Def Jam la soluzione non convince, perché Jay-Z è in procinto di passare alla Warner, sua concorrente, con una nuova etichetta. Così gli offrono la presidenza della label, che lui accetta. E, non pago, alla fine Carter terrà per sé il marchio Roc-A-Fella a scapito di Damond Dash e Biggs Burke. Un anno più tardi si prende addirittura il lusso di tornare in pista, e pubblica l’album Kingdom Come. […] Da presidente e ceo della Def Jam, l’“acquisto” di Nas […] è il suo capolavoro. Ma è sempre a lui che dobbiamo la scoperta e l’affermazione di una star internazionale come Rihanna. Il balzo nel mondo dell’imprenditoria, però, si compie non appena Shawn inizia ad allargare i propri orizzonti. È un passaggio quasi scontato, anche perché da alcuni anni si era dato all’abbigliamento con la Rocawear. Si tuffa in seguito nel marketing e nello sport, diventando comproprietario della squadra di basket dei New Jersey Nets (che lui trasferirà a Brooklyn). La vigilia di Natale del 2007, a tarda ora e in modo un po’ inusuale, la Def Jam comunica che a partire dal 31 dicembre Jay-Z non ne sarà più il presidente. Non è l’inizio del declino, come qualcuno comincia a supporre. Nell’aprile del 2008, infatti, si allea con la Live Nation (tra i maggiori distributori di biglietti per concerti) e dà vita alla Roc Nation, la sua nuova etichetta. Shawn Carter è ormai un uomo di successo, ricco (il suo patrimonio è spropositato, non contando i compensi della moglie Beyoncé), e si conferma un abile stratega che sa cosa prendere e quando lasciare. Forbes lo annovera tra i paperoni della musica e tra i più influenti al mondo» (Germani). Negli ultimi anni, ancor più che per i suoi album – American Gangster del 2007, The Blueprint 3 del 2009, l’acclamato Watch the Throne (inciso insieme a Kanye West) del 2011 e Magna Carta Holy Grail del 2013 –, è stato oggetto di un interesse mediatico al limite della morbosità (sapientemente alimentato) per la sua relazione con la cantante Beyoncé Knowles, che ha sposato nel 2008 e da cui ha avuto tre figli (una femmina nel 2012, Blue Ivy, e due gemelli nel 2017, la femmina Rumi e il maschio Sir): proprio il loro rapporto coniugale è al centro dei suoi ultimi album, 4:44 del 2017 ed Everything is Love del 2018 (quest’ultimo inciso insieme alla moglie e quindi firmato «The Carters»), nonché delle loro due tournée in coppia, l’On the Run Tour del 2014 e l’On the Run II Tour del 2018. «Se infatti una cosa è chiara riguardo a Beyoncé e Jay-Z, è che si amano, certo, ma soprattutto sono stati capaci di monetizzare e rendere creativa una cosa che capita a molte coppie: le corna. Chiamali scemi. […] Le prime voci di crisi risalgono addirittura al primo anno di matrimonio, ma vengono archiviate. La conferma che però ci siano problemi in paradiso arriva nel 2014, con il famoso incidente all’interno dell’ascensore: le telecamere di sicurezza riprendono una lite feroce (lei che picchia lui) tra Solange, sorella di Beyoncé, e Jay-Z, con Beyoncé lì presente ad assistere alla scena. Il motivo: Jay-Z avrebbe tradito la moglie. Ma con chi? Negli anni l’identità della presunta terza donna è stata oggetto di letteratura scandalistica: all’inizio si pensava a Rihanna, visto il coinvolgimento artistico tra lei e Jay-Z per il suo primo disco. Rihanna non si è neanche mai degnata di smentire, considerando ridicole le affermazioni. Poi è toccato a Rita Ora, che invece ha smentito. L’ultima e la più sospetta è Rachel Roy: sarebbe lei la “Becky with the good hair” di cui Beyoncè canta in Lemonade, il disco uscito nel 2016 in cui Beyoncè mette in piazza i panni sporchi e il tradimento del marito. A quel disco, lui risponde con l’album 4:44: nel promuoverlo, il rapper rilascia interviste in cui ammette di aver tradito la moglie, parla di crisi di coppia e di come la terapia abbia salvato la loro unione. […] A David Letterman, quest’anno, ha detto: “Non avevo gli strumenti emotivi per stare dentro a una matrimonio. Ho fatto cose di cui mi pento. Siamo andati in terapia, abbiamo fatto un lavoro duro. Ci amiamo. Mi piace pensare che oggi siamo in una condizione migliore. Sono orgoglioso del padre e del marito che sono oggi”. E quale modo migliore per festeggiarlo se non con un disco insieme? Everything is Love è uscito a sorpresa lo scorso giugno, con un video girato dentro il Museo del Louvre. Il posto più adatto per due che hanno reso il matrimonio una prolifica e redditizia opera d’arte» (Simona Siri) • «L’area del business che ruota intorno a Jay-Z si è estesa a dismisura. […] "Non ci sono articoli che non tratto. Dipende tutto dal potenziale dell’affare che mi propongono", dice. Nell’irresistibile ascesa di Jay-Z, il rap ha avuto la funzione di un trampolino di lancio, il primo mattone su cui costruire un impero. "Lo penso dagli anni Novanta: il rap e l’hip hop sono i due fenomeni culturali più significativi degli ultimi trent’anni. Nella musica, nell’abbigliamento da strada, nella moda e persino nella letteratura. I testi di alcune canzoni rap vanno letti come poesie, come opere dell’intelletto alla pari di quelli scritti da grandi cantautori come Bob Dylan, Neil Young o Bruce Springsteen. Ma questo non viene mai detto, e così gli artisti di questo genere passano per degli sfigati che si ricoprono di catene d’oro e trattano male le donne. Come diceva mia madre, la verità sta sempre sotto la superficie". Si dice che all’ingresso del suo ufficio presidenziale all’interno della Trump Tower ci sia una scritta scolpita nel muro: io sono un brand. "Non è forse vero? Il mio nome su una marca di champagne, su un profumo o su una linea di abbigliamento fa la differenza. I miei affari sono una gioiosa estensione della mia personalità e del mio personaggio. Quando presento un nuovo prodotto da lanciare, gli uomini del mio staff mi urlano in coro: vai, Jay, mettici la faccia, funziona più di mille spot"» (Gianni Poglio). «In breve, […] è proprietario dello Spotted Pig, elegante bar del Village, e di diversi club in giro per l’America, chiamati 40/40. È stato presidente di una delle etichette più importanti dell’hip-hop, la Def Jam. […] Lo si dice amico di Bono e Bill Clinton. Vendendo il suo marchio di abbigliamento Rocawear ha incassato 204 milioni di dollari. Ha pubblicato un libro in cui commenta i propri testi e fa prediche sul successo e il duro lavoro, dallo spaccio all’imprenditoria, e l’ha presentato alla New York Public Library, suscitando l’ammirazione del New Yorker, che ha dedicato una pagina al racconto dell’evento» (Francesco Pacifico). Poca fortuna ha però avuto finora Tidal, la piattaforma di musica digitale fondata da Jay-Z insieme ad alcuni colleghi nel 2014 e mai veramente decollata • Democratico. «Quando lo criticano perché porta la maglietta di Che Guevara, senza rinunciare a tutti quegli ori tipici dei rapper, Jay si difende: "Mi considero un rivoluzionario perché sono un miliardario che si è fatto da sé in una società razzista". […] Fa ancora discutere quella canzone in cui paragonò Ronald Reagan a Bin Laden. Possibile? "Reagan inondò di coca tutta Manhattan per finanziare l’affare Iran-Contra. E nei peggiori anni dell’epidemia di crack ci furono letteralmente migliaia di omicidi a New York. Insomma, il paragone non mi sembra poi così pazzesco…"» (Aquaro). Già grande sostenitore e amico di Obama («Lo trovai a casa del produttore L.A. Reid. Mi tirò per la giacca e mi disse: ho bisogno del tuo aiuto. Così feci un sacco un sacco di concerti gratis per convincere i giovani a votare per lui… Obama non è Dio, ma fa quello che può»), in occasione delle elezioni presidenziali del 2016 supportò Hillary Clinton. Quando nel 2017 Jay-Z divenne il primo rapper a essere incluso tra i cantautori della statunitense Songwriters Hall of Fame, Obama si congratulò pubblicamente con lui dicendosi «quasi certo di essere ancora l’unico presidente ad ascoltare la musica di Jay-Z nello Studio Ovale. […] Mi piace pensare che io e Mr Carter ci intendiamo al volo. Anche perché abbiamo una storia simile: nessuno che ci avesse incontrato da giovani avrebbe potuto mai supporre di ritrovarci dove siamo ora. […] Abbiamo cercato di farci spazio attraverso quelle porte di opportunità, e adesso è un po’ più facile farcela per quanti verranno dopo di noi. […] Abbiamo entrambi mogli molto più famose di noi, e siamo pazzi per le nostre figlie» • «L’ultima, presunta attività da gangsta è datata 1999, quando secondo testimoni accoltellò in un locale – fortunatamente senza gravi conseguenze – un tale di nome Lance Rivera, professione discografico, reo a suo dire di avere piratato Vol. 3… Life and Times of S. Carter di imminente pubblicazione. Con il trascorrere degli anni le scorribande sono di tutt’altro tenore. Ad esempio, la […] visita a Cuba – in occasione del quinto anniversario di matrimonio con Beyoncé – che quasi si trasforma in un caso diplomatico per l’eccessiva pedanteria di due parlamentari repubblicani della Florida (pare che gli sposini d’America non avessero il visto necessario per entrare nell’isola caraibica)» (Germani). «Loro […] sono i simboli del black power perentorio – Jay Z che da gangster diventa imprenditore e leggenda del rap, Beyoncé che canta al Coachella, prima donna nera. Loro, dicono i giornali, sono il vero black power perché, a differenza dei tanti neri riluttanti (Obama, Whitney Houston, Oprah Winfrey), non hanno paura di esprimere in toto la negritudine» (Michele Masneri). «Il vero Obama è Jay-Z, che […] è la vera faccia del successo e del riscatto nella sola versione possibile in America: quella che passa per il capitale e la libertà assoluta di fare i propri interessi» (Pacifico).