La Lettura, 2 dicembre 2018
Non farsi amare: l’amara arte di Franzen
Cinque romanzi. Tre raccolte di saggi. Due traduzioni dal tedesco (Kraus e Wedekind). Ora, nelle librerie americane, arriva la quarta raccolta di saggi di Jonathan Franzen, cinque anni di osservazioni concentrate in sedici capitoli, o meglio in quindici capitoli più una fulminante coda, due pagine che sintetizzano in una sola dose concentrata il senso della raccolta e lasciano il lettore a bocca aperta come succede con i pezzi di bravura della narrativa dell’autore americano (nel più recente Purity, edito in Italia da Einaudi, basta pensare al viaggio con la fragile torta di compleanno). Franzen è lo scrittore delle contraddizioni: un virtuoso – due capolavori, Le correzioni e Libertà, su cinque romanzi pubblicati, uno score impressionante – che non ama i virtuosismi, uno scettico fedele alle sue convinzioni, un ambientalista che fa infuriare gli ambientalisti, un progressista inviso ai progressisti, un femminista staffilato dalle femministe.
The End of the End of the Earth (Farrar, Straus and Giroux) sfida il lettore già dal titolo: la fine della fine della Terra? Fine nel senso di limite fisico, perché il saggio più famoso che compone il libro racconta proprio di un viaggio di Franzen in Antartide. E fine nel senso di apocalisse, il disastro ambientale che Franzen giudica irreversibile e che incombe sulla maggior parte dei capitoli del libro. Perché la domanda, semplice e terribile, è questa: che senso ha l’impegno sociale, politico, che senso ha la letteratura in un mondo che sta per finire, con le temperature globali destinate a crescere entro la fine del secolo non di due gradi (che già rappresenterebbe un disastro) ma di sei o, come una scienziata confida a Franzen privatamente, forse ancora di più? Un mondo futuro invivibile, alla Ballard, con gli uccelli così amati da Franzen – il birdwatching è il suo hobby e la sua ossessione e l’argomento più discusso nel libro – testimoni del disastro imminente.
Lo scetticismo di Franzen, la sua convinzione dell’incapacità umana di correggere la rotta prima dell’inevitabile impatto con la catastrofe climatica, è la destinazione finale non del suo cinismo ma del suo umanesimo: siamo spaventati, e incapaci di vedere la devastazione ambientale dall’Amazzonia ai ghiacci polari, perché siamo umani. E l’umanità – di Mozart, di Picasso, dei giganti che cita nel libro – secondo Franzen contiene insieme ai germi della sua grandezza anche quelli del suo declino e della sua auto-distruzione (portando il pianeta con sé). Il consenso scientifico sulle origini umane del cambiamento climatico, dell’effetto devastante dell’antropocene sull’ecologia planetaria? Un dettaglio, mentre guidiamo le nostre auto, come spiega Franzen nelle ultime due pagine del libro: la fine del mondo come destinazione.
È un libro-diario, Franzen che racconta le elezioni del 2016 attraverso un viaggio in Ghana, sempre a scopo dibirdwatching, Franzen che vota Hillary Clinton per posta e poi parte per l’Africa e scopre che Trump è stato eletto mentre sbuca da una foresta dove non c’era campo per il telefono. Franzen che scrive una verità sgradevole per molti ambientalisti, cioè che tre miliardi di uccelli muoiono attualmente in America, ogni anno, per le collisioni contro gli edifici e gli attacchi dei gatti domestici, e zero uccelli muoiono (al momento) per il cambiamento climatico. Verità scomoda che l’ha ovviamente fatto attaccare dalla Audubon Society (società per la protezione degli uccelli che invece indica il cambiamento climatico come minaccia numero uno per la loro salvezza) e s’è ritrovato bollato come «negazionista», «trumpiano» e via discorrendo nella sequela di insulti alla quale è ormai abituato.
Non garantisce consensi popolari un saggio che spiega con calma che salverebbe più uccelli, oggi, non far uscire il proprio gatto in giardino che comprare un’auto ibrida: il pubblico che legge le riviste intelligenti dove escono gli articoli di Franzen vorrebbe probabilmente leggere altre cose, verità più comode, e magari più attacchi a Trump. Che Franzen sostenitore di Hillary definisce «il presidente di Twitter», ma evidentemente non basta.
Il problema non è che Franzen abbia un tono saccente: basta sfogliare qualunque rivista accademica americana di sociologia o gender studies per trovarne interi oceani, di saccenteria. È che il bird-watching lo ha portato a diventare un esperto di tassonomia, e il raggruppamento sistematico di specie, generi, famiglie poco si presta a un pubblico abituato ormai al dibattito politico innescato da Twitter e racchiuso da pochi, fulminanti caratteri.
Franzen non è soltanto troppo bravo ma ha venduto troppe copie di libri troppo belli, finendo in copertina su «Time», per essere simpatico all’accademia, ai media americani e al popolo dei social media. Ha accettato da anni che non sarà mai popolare come «personaggio», cosa che deve dispiacergli visto che proprio in questa raccolta ammette che la personalità degli scrittori per lui è importante, e che più Steinbeck invecchiando diventa meno predicatorio più gli risulta simpatico e più gli piacciono i suoi libri.
Un saggio su Edith Wharton gli è valso critiche femministe perché nota in un inciso come il fatto che la grande scrittrice non fosse una donna particolarmente attraente le ha giovato. Ma è folle concentrarsi su quel punto quando, in mezza pagina, Franzen delinea un percorso che dal grande realista William Dean Howells porta a Francis Scott Fitzgerald e Sinclair Lewis e da lì a Jay McInerney e Jane Smiley, e proprio Wharton è lo snodo centrale di questa importantissima venatura della letteratura americana degli ultimi centocinquant’anni.
Franzen ricorda senza battere ciglio che Wharton era «profondamente conservatrice, contraria al socialismo e al suffragio universale, intellettualmente attratta dal mondo spietato del darwinismo», odiatrice di quella che vedeva come volgarità americana e per questo esule in Francia, indisponibile a sostenere l’amico Teddy Roosevelt, repubblicano, quando divenne per lei troppo populista. Wharton che scriveva a letto, a mano, e gettava le pagine per terra in attesa che la segretaria le raccogliesse e le battesse poi a macchina. Wharton gigantessa della letteratura americana che Franzen ama come scrittrice ma fatica ad amare come persona. Sicuramente Franzen «l’antipatico» sa come si sentono tanti suoi lettori.