Corriere della Sera, 2 dicembre 2018
Intervista a Gabriele Salvatores
Ancora on the road. Come tante volte in passato. Con bagaglio leggero e pochissime certezze. E un paio di cari amici in cui specchiarsi. Arriva da lontano il nuovo film di Gabriele Salvatores, Se ti abbraccio non aver paura (in uscita la primavera prossima, prodotto da Indiana con Raicinema e Edi) e, insieme, è un viaggio in territori sconosciuti. E alla base c’è un romanzo importante
Il libro di Fulvio Ervas...
«Un diario di viaggio tra un padre e un figlio adolescente affetto da autismo. Rileggendolo ho sentito il bisogno di cambiare alcune cose, con Umberto Contarello, e ne è uscita una storia molto liberamente ispirata al libro».
Cosa c’è di diverso?
«Il tema non è l’autismo ma come si possa amare una persona diversa da te, con cui è difficile comunicare, trovare un ponte. Dall’America, poi, l’abbiamo trasportata in Italia. Anche i nostri protagonisti cambiano».
Chi sono?
«Willi (Claudio Santamaria) è un cantante che ha rincorso il successo e ora si mantiene esibendosi tra matrimoni e serate, lo chiamano il Modugno della Dalmazia. Aveva avuto una storia con Elisa (Valeria Golino) ma quando lei è rimasta incinta è scappato. Lei ha avuto il figlio, affetto da sindrome autistica, e si è sposata con Mario (Diego Abatantuono) che lo ha adottato. Il film inizia quando il ragazzo Victor (Giulio Pranno) ha 16 anni e Willi decide di andare a conoscerlo e lo porta con sé in tournée in Croazia».
Ecco l’on the road.
«Il ragazzino diventa una specie di pifferaio di Hamelin che si porta dietro gli adulti anziché i bambini, fino a territori dove loro da soli non sarebbero andati. C’è anche un confine fisico da traversare, a est. Lì passa la rotta balcanica degli immigrati».
Il viaggio, la musica, le strade senza nome, Abatantuono e Golino, un adolescente. C’è tanto Salvatores in questo nuovo film.
«Vero, è un po’ il riassunto di tanti percorsi fatti. Ha qualcosa alla Marrakech Express ma è un film più onirico che realistico».
Perché ha voluto accanto due amici?
«Con Diego siamo parenti più che amici. Era il più adatto per quella parte, ha una presenza fisica e un’umanità uniche. E anche Valeria era perfetta. È l’unica attrice con cui ha fatto più film, questo è il quarto. Tecnicamente poi è diventata bravissima».
Perché ancora una volta un ragazzo?
«Mi interessa l’adolescenza ma anche fare i conti con l’aspetto irrazionale, non governabile, anche un po’ sbagliato e folle della mia generazione».
Non un film sull’autismo, però il tema è delicato, vi sarete documentati.
«Molto. Giulio, il nostro protagonista, ha vissuto insieme al ragazzo del libro di Ervas, Andrea. E prima del provino è andato a lavorare con cooperative che si occupano di ragazzi autistici. Abbiamo avuto contatti con famiglie e associazioni, sono contenti del film. L’autismo ha varie forme, ognuno è un caso a sé. Non è catalogata come malattia ma come sindrome: credo che sia un bene che se ne parli e si conosca».
Perché le canzoni di Modugno?
«Vedrete, Claudio gli assomiglia molto. Abbiamo usato alcuni brani bellissimi, tra cui uno che adoro, Che cosa sono le nuvole, con le parole di Pasolini. E i suoi standard».
«Volare», per esempio?
«Certo. Che è diventato il titolo internazionale del film. Quando sono andato a proporlo agli americani mi hanno detto: non puoi intitolarlo Se ti abbraccio non aver paura».
Come mai?
«Per il codice etico del Metoo, meglio evitare riferimenti agli abbracci. Assurdo. E Mauro Pagani che cura le musiche mi ha suggerito di intitolarlo così per l’estero. Funziona. Volare vuol dire superare la paura».